Il tessuto spugna: quale, come, perché?

Ma torniamo alla materia tessile. Se si parla di bagno, dunque, si parla inevitabilmente di spugna; il più semplice dei paragoni suona così, “assorbe come una spugna” e naturalmente ci si riferisce a quella del mare. Il tessuto di spugna è stato progettato proprio ripensando all’efficienza dell’animale marino, per assorbire acqua e quindi asciugare bene e in fretta il nostro corpo. L’idea fu di aumentare con tanti riccioli fitti la superficie di contatto con il filo di cotone che, come noto, è un materiale naturale estremamente idrofilo. Prima della spugna ci si asciugava con la tela e la fiandra di lino, poi con il “nido d’ape”, ma il comfort non era certo eccezionale. La spugna compare nei corredi da sposa solo dopo gli anni trenta: era realizzata con “filati ritorti”, solo in bianco e in tre o quattro colori tenui (rosa, verdino, azzurro e giallino). Il grande sviluppo inizia nel dopo guerra con la spugna “detta americana” o idrofila tessuta con filo di cotone “non ritorto” morbido ed estremamente assorbente già dal primo uso.

Senza scendere troppo nel tecnico diciamo però che il tessuto di spugna si fabbrica utilizzando due orditi e una trama: il primo ordito, detto di fondo, costituisce l’ossatura del tessuto, il secondo chiamato “di effetto” o “di riccio” forma la superficie ad anelli. L’ordito di fondo viene lavorato a una tensione maggiore di quella di riccio, che accoppiato all’uso di filati (generalmente di cotone) a torsione soffice conferisce al tessuto la capacità di trattenere molta acqua. Il tessuto può essere di tipo semplice o doppio a seconda se i ricci sono presenti su una sola faccia o su entrambe le facce del tessuto. Il più utilizzato è quello di tipo doppio, per la maggior capacità di assorbire acqua.

Esaurita la piccola divagazione sulla tecnica tessile torniamo alla storia della spugna. Dopo la guerra, appunto, le proposte stilistiche aumentarono velocemente. I colori divennero una gamma amplissima e si cominciò ad abbinarli con attenzione persino alle piastrelle del bagno; tinte pastello, colori vivaci, scuri. Venne proposta stampata, con effetti jacquard e ricamata con ogni genere di decoro. Prendendo spunto dalla vera ciniglia (era tessuta a mano, con striscioline di tessuto colorato che componeva un disegno realizzato a telaio, oggi quel tessuto è introvabile per l’alto costo) venne prodotta anche una versione diversa, definita la spugna “velour” o “cimata”, simile alla sorella maggiore, ma ottenuta con i ricci tagliati dopo la tessitura. Questa versione della spugna, che imita molto il velluto e quindi permette giochi di luce notevoli e raffinati soprattutto quando viene realizzata con motivi jacquard, ha aspetto e tatto gradevolissimi ma la capacità di asciugare al contatto della pelle è molto ridotta. Diciamo che la spugna cimata è più indicata per un uso estetico piuttosto che performante: bene per un accappatoio o un telo mare che si vogliano esibire in spiaggia, meno bene se si desidera il complemento tessile efficiente che ti asciuga alla perfezione dopo una sostanziosa doccia. L’ultima innovazione nella spugna viene da un filato speciale detto “zero twist” cioè un cotone che non viene torto come di solito ma lasciato soffice come uno “stoppino”; assorbe moltissimo e resta molto soffice. Il suo difetto è che impiegando cotone a fibra lunghissima risulta molto costoso. La spugna, come dicevamo, si compone principalmente di cotone ma può contenere anche percentuali di poliammide o altre microfibre. La scelta delle fibre influenza positivamente soprattutto il tempo di asciugatura.

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