
Quasi trent’anni di attività nel campo della distribuzione e della produzione tessile vivendo sovente, e in prima persona, progetti ed esperimenti che hanno scritto la storia recente dei dettagli tessili italiani, da Stefanel a Sogaro Milano. Poi il passaggio alla produzione e alle direzioni commerciali di aziende biancheriste. In sintesi è la storia professionale di Franco Blasi. Il manager italiano ha un’esperienza straordinaria nel campo della distribuzione e le sue opinioni su ciò che dovrà succedere nell’immediato futuro del dettagliante specializzato sono chiare e molto ben motivate. Vediamo quali sono… Il comparto della biancheria per la casa, come molti altri in Italia, vive una dimensione estremamente familiare in ogni anello della filiera. Sono quasi sempre a carattere familiare – se non addirittura “dinastico” – le imprese produttrici, come lo sono i negozi e le realtà della distribuzione, anche le più grandi. Non solo. I manager indipendenti – pochi, a dire la verità - si muovono anch’essi entro territori quasi sempre ben identificati, soprattutto quando parliamo di vendita. Difficilmente trasformano la propria figura e, ancor più raramente, si trasferiscono dal mondo dell’impresa a quello della distribuzione o viceversa. Nell’abbigliamento, invece, il discorso è ben diverso: data l’enorme contaminazione tra produzione e vendita “on street” – si pensi solo a Benetton, per fare l’esempio più banale – il manager di quel settore non di rado deve confrontarsi con le problematiche dell’uno e dell’altro segmento di filiera, saper produrre e costruire il prodotto e saperlo vendere utilizzando gli schemi più moderni della distribuzione.
Trovare quindi un dirigente nel nostro comparto che abbia esperienza di tal genere non è facile perché, nonostante le dichiarazioni e gli sforzi di tutti, è innegabile che ci sia ancora una suddivisione a compartimenti quasi stagni che rende tutto più complesso per il tessile casa. Tuttavia qualche esempio esiste e Franco Blasi, protagonista di questo servizio, fa senz’altro parte di questa ristretta selezione. Il “nostro”, classe 1964, natio di Venezia ma bergamasco fin dalla tenera età, sposato con due figlie di diciotto e sedici anni, non è rampollo del settore, sebbene la sua famiglia sia sempre vissuta nel territorio del commercio: ha un diploma di odontotecnico, ma dopo due anni di esperienza seguiti agli studi capisce che il suo futuro non è nelle protesi dentali. Frequenta un corso Ipsoa di specializzazione nelle tecniche di vendita ed entra in uno studio di rappresentanza lombardo operante nell’abbigliamento; nel giro di pochi mesi aderisce all’idea di Stefanel di avviare un programma di aperture di negozi in franchising (era il 1984) e così debutta nel mondo - in esplosione - delle catene di negozi in franchising d’abbigliamento,ovvero l’ambito più moderno e internazionale della distribuzione italiana. Quegli anni, cinque per la precisione, sono una portentosa scuola di formazione sul mercato, sulle esigenze distributive, sulle formule più innovative per creare, organizzare, avviare e portare a regime un punto di vendita.
Dall’abbigliamento al tessile per la casa
Seguono poi alcune altre esperienze, sempre nell’abbigliamento, ma il secondo punto di svolta è datato 1991 quando diventa il braccio destro di Claudio Ghidoli – gigante della distribuzione milanese di tessile casa – nell’opera d’innovazione e ristrutturazione del punto di vendita dell’insegna storica di Piazza Fontana. Sono i due anni in cui Blasi conosce e approfondisce il settore della biancheria per la casa e rappresentano il trampolino di lancio per entrare, nel 1993, a collaborare con Francesco Sogaro all’apertura di negozi sotto l’insegna più famosa d’Italia di negozi di biancheria fondata dal “guru” nazionale del comparto, Igino Sogaro. Si arriva quindi al “progettone” – di cui ancora oggi si parla e spesso si utilizza come riferimento - Sogaro Milano, grande superficie in via Marghera, nel capoluogo lombardo, unica realtà nella storia della distribuzione italiana di tessile per la casa – nell’accezione più estesa e globale del termine – che poteva competere a livello mondiale con realtà distributive del calibro di Takashimaya, Marks & Spencer o altri big del mondo. Un’esperienza che faceva il paio con quelle dell’abbigliamento: mentre ci raccontava la sua storia, Franco Blasi sottolineava che le vendite di Sogaro Milano erano per il 50% autoprodotte, una caratteristica pressoché unica nel panorama italiano del comparto. Per tante ragioni quell’esperimento così innovativo finì rapidamente e per Blasi si aprirono le porte di un cambio radicale di collocazione: grazie all’esperienza acquisita nella costruzione del prodotto di biancheria, entrò in società nell’azienda Lura-Braun occupandosi della parte commerciale e saltando – in qualche modo – il fosso. Dopo due anni avviene il passaggio a Bellora per occuparsi del nascente progetto franchising e poi di linee private e rapporti con le industrie. Finita questa stagione Blasi diventa direttore commerciale di Zanotto per poi passare, con lo stesso ruolo, a Spaziale Splendy, azienda dove ancora oggi “milita” con la responsabilità globale dell’area commerciale.
Quella che vi abbiamo descritto è un curriculum forte di un’esperienza portentosa che ha attraversato tutti gli ultimi trent’anni del settore. In un momento di stress così forte per il comparto (crisi e accelerazione evolutiva sono terribilmente alleate) il suo parere va certamente raccolto e analizzato con grande attenzione.
Vista la sua esperienza, la tentazione di porre subito la domanda fatidica – cosa succederà alla distribuzione di comparto – è forte, ma resisterò e le chiedo prima: di tutte le sue diverse esperienze quale è stato secondo lei il momento più importante, quello che le ha dato maggiori soddisfazioni e competenze?
Difficile dirlo. Credo però che due fasi siano state fondamentali per la mia formazione: la prima quella con Stefanel quando, praticamente in due, io e il mio responsabile di allora, con la supervisione del titolare e l’assistenza degli studi di progettazione interna, dovevamo costruire dal niente realtà di vendita nelle più diverse città italiane. Ovviamente gli anni Ottanta erano un altro momento, ma in quel periodo ho visto giovani animati da una voglia incredibile di emergere: credevano in un progetto nuovo e innovativo e capivano che quello gli avrebbe permesso di crescere, a patto che seguissero certi dettami imposti. Ebbene, affiancati dalla nostra azienda sono cresciuti praticamente alla velocità della luce: da uno a quattro o cinque negozi aperti in brevissimo tempo, in alcuni casi una vera e propria epopea. E poi l’esperienza di Sogaro Milano: prima di lanciarci in quell’avventura, io e Francesco Sogaro (primogenito del fondatore Igino Sogaro, ndr) abbiamo passato mesi a girare il mondo per imparare e prendere spunto dalle realtà distributive più interessanti, e non certo solo del settore tessile. In più abbiamo collaborato con i professionisti nazionali e internazionali più importanti del periodo. Quel tipo di formazione è un tesoro che ritengo inestimabile della mia storia professionale perché non fu un’esperienza – come si potrebbe pensare – applicabile soltanto a realtà distributive di migliaia di metri quadrati. Al contrario, le tecniche di vendita, i modelli espositivi e comportamentali nei confronti del cliente e del rapporto con i fornitori possono essere tranquillamente gradualizzati e applicati anche al più piccolo negozio indipendente di biancheria per la casa. Anzi, ancora oggi le tecniche di vendita imparate in quel periodo le utilizzo presso i miei clienti quotidianamente. In quel periodo ho capito una cosa fondamentale. È vero che ogni settore ha le sue specificità, ma si possono cogliere insegnamenti e suggerimenti da qualsiasi realtà di vendita, anche la più lontana dalle proprie merceologie, bisogna dotarsi però della necessaria apertura culturale.
Mi perdoni ma l’esperienza Sogaro Milano non finì esattamente nel migliore dei modi…
Troppo lungo spiegare le tante ragioni che determinarono la vita così breve di quella realtà innovativa. È certo però che rappresenta, ancora oggi, forse l’unico tentativo serio in Italia di portare la distribuzione indipendente su un piano di assoluta modernità e dimensione internazionale. Ci sono state – ovviamente – tutte le riflessioni possibili da parte nostra, sugli sbagli che ne hanno determinato l’insuccesso, ma nulla toglie al fatto che rappresenta ancora oggi per questo comparto un modello di assoluto valore.
Va bene, passiamo allora alla domanda fatidica di prima. Cosa succederà, secondo lei, alla distribuzione indipendente di settore e, in particolare, data la sua esperienza, cosa dovrebbero fare i negozianti italiani per resistere alle conseguenze di una crisi che non è ciclica ma strutturale?
Cominciamo con una convinzione che ritengo sia premessa indispensabile: lo scenario futuro più probabile non vedrà la sparizione completa del dettaglio specializzato in favore di altre formule di vendita. È altrettanto certa una sua trasformazione e riorganizzazione merceologica. Ciò significa che sarà sempre più difficile valutare il peso diretto delle vendite di biancheria per la casa nel canale specializzato, perché essa sarà solo una componente del mix merceologico di un punto di vendita, ma non più unica e isolata. Il negozio specializzato mono-merceologico non ha più la necessaria capacità attrattiva nei confronti del consumatore salvo che accetti di essere un super- specialista, magari fine artigiano, con una clientela selezionata, fidata e piuttosto limitata. Come sarà questo mix merceologico, entro il quale collocare le nostre merceologie tessili, è difficile da stabilire. In termini generali possiamo dire che l’evoluzione naturale dovrebbe essere verso un negozio che sia globale nei confronti dell’arredamento soft – quindi tessile – della casa, accorpando al prodotto finito biancheristico anche il tendaggio o il tessuto tuttavia, tale evoluzione, presuppone un’inclinazione del negoziante verso un’attività più artigiana che commerciale. È pur vero che l’installazione di tende o il mestiere di tappezziere non compete certo tutti, e non è scelta che può essere fatta da un giorno all’altro. Credo quindi che non esista una ricetta specifica e precisa da applicare universalmente, piuttosto bisogna valutare abitudini di consumo, caratteristiche territoriali, altre realtà di vendita contigue per fare la giusta valutazione. Ciò che è certo è che la sola biancheria non regge i costi di gestione di un negozio. Insomma è ovvio che non ci sarà più spazio per tutti, ci si allineerà un po' alla distribuzione europea per numeri di punti di vendita, ci saranno superfici che si amplieranno per contenere formule total look e alcune che si ridurranno specializzandosi al massimo. Questo fenomeno in Italia, nello sport, sta già accadendo: i negozi sono o di grande superficie o spazi di 80 metri quadrati super specializzati in uno o al massimo due sport.
Esposto ciò, cerco di rispondere alla seconda parte della sua domanda. In qualche modo per andare avanti bisogna guardarsi indietro. Un secolo fa il negoziante – di qualsiasi merceologia – era un punto di riferimento, quasi un amico fidato del suo cliente. La cerchia della clientela era limitata e tutta conosciuta: non c’era Facebook ma i clienti si conoscevano tutti per nome. Poi c’è stato il boom del dopoguerra, il consumismo, la moltiplicazione delle occasioni e dei luoghi d’acquisto e una disponibilità generale molto maggiore. L’acquisto è stato sempre meno riflessivo e sempre più impulsivo, i luoghi si sono differenziati e il negoziante ha sempre più abbracciato l’idea che doveva soddisfare tipologie di clienti le più diverse. L’idea di un profilo preciso di negozio, con un identikit facilmente riconoscibile e selezionabile da parte del consumatore, è stata sostituita dalla certezza che l’offerta doveva essere larga e profonda, al punto da soddisfare la vecchina coi capelli grigi alla ricerca dell’asciugamano di sostituzione come la sposina della buona borghesia alla ricerca di capi sofisticati per la sua nuova casa. Tutto ciò partendo dal presupposto che la vendita era facile e quasi avveniva da sola, senza assistenza.
Poi tutto è cambiato. L’affermarsi di altre formule di vendita e promozione e la crisi di questi ultimi tempi (con un radicale restringimento dei consumi) hanno cancellato tutte queste sicurezze. Il risultato è che il negoziante oggi non è più credibile, non garantisce più nulla, non ha più voglia di raccontare ed essere araldo del prodotto che vende.
Si spieghi meglio, in fondo c’è la marca a svolgere questo compito, a garantire il consumatore…
Certo che la marca svolge questo compito, ma lo svolge – ed è giusto così – in altri luoghi e occasioni di acquisto. Lo fa sui cataloghi a premio, nelle grandi superfici di vendita, su internet, in genere in quei luoghi dove il rapporto tra cliente e negoziante non esiste, allora è proprio la marca a fornire garanzie. Ma nel negozio no, lì ci vuole un dettagliante che abbia il coraggio di mettersi in gioco, che sia il garante, che non sia porgitore di prodotto ma consulente del consumatore cliente. Uno specialista prima di tutto capace di scegliere e selezionare la sua offerta dandogli il profilo e la personalità di cui parlavo prima, e poi altrettanto bravo a raccontare la sua originalità al cliente.
Facendo una battuta, ma non troppo, nel suo negozio è il dettagliante la marca del consumatore. Questo è un problema enorme di mentalità. In questo forte periodo di crisi lo specialista, per far quadrare i conti, cerca di salvare i margini continuando ad aumentare i prezzi al pubblico con prodotti sovente di dubbia qualità. È un errore definitivo, senza appello, decreta la sua fine. L’unico modo per attirare il cliente oggi è fornire un prodotto di qualità sicura al giusto prezzo, altrimenti si fa esattamente il gioco della grande distribuzione. Nel campo dell’accappatoio in microfibra mi è capitato di vedere capi identici – e ovviamente di qualità molto scarsa – venduti nel negozio specializzato a 29 euro e nelle grande distribuzione a 12,90. Questo significa il “de profundis” per il negoziante.
Ok, il rapporto negoziante/cliente è fondamentale ma poi, nel concreto, appunto si devono fare i conti coi fatturati del negozio, con le bollette da pagare, con gli stipendi, eccetera. Insomma in un quadro così complicato quali sono, secondo lei, le azioni concrete da compiere?
Cominciamo dalla costruzione di una esposizione leggibile e ben organizzata, e per fare ciò veniamo al problema principale che affligge, a mio parere, la nostra distribuzione indipendente. L’incapacità di scegliere e di selezionare un numero molto limitato di fornitori, pretendendo che diventino partner veri della propria attività. Partiamo da un discorso molto semplice che compete la forza “sindacale” di un dettagliante nei confronti del venditore. Secondo lei ha più voce in capitolo un negoziante che ha pochi fornitori verso i quali fa ordini da parecchie migliaia di euro ciascuno – quindi importi di peso - oppure il suo collega che ha un ingente numero di fornitori presso i quali fa ordini di mille o duemila euro per ognuno? Ovviamente i primi avranno più argomenti da mettere sul tavolo di una trattativa. Ma il discorso non è unicamente “sindacale”: si tratta di abbracciare un progetto, non di scegliere i prodotti. Parliamo chiaramente: il panorama di offerta della biancheria per la casa italiana è ripetitivo. Tutti fanno tutto e c’è una sovraofferta di qualsiasi cosa. Anche quando arriva qualcosa di nuovo – come i nostri accappatoi – ci sono decine e decine di followers, più o meno seri, che rapidamente si affacciano al mercato. Dunque non è un problema di prodotto, ma di valore di un progetto di vendita.
Cosa intende per progetto di vendita?
Il progetto di vendita può avere diverse caratteristiche. Possono essere estetiche nel caso ci sia una proposta di stile particolarmente innovativa, e in quel caso sarà necessaria una certa visibilità entro il layout del negozio. Può essere promozionale, cioè un programma che affianca operazioni di promozione e pubblicità sul territorio costruite insieme dal negoziante e dall’azienda. O ancora comprendere iniziative di co-marketing e di presentazione che l’impresa propone a un pool di suoi clienti nei vari territori. C’è solo l’impegno a dare sfogo alla creatività e alla volontà di fare ma, a sua volta, il negoziante che pretende questo genere di azioni e impegni da parte del fornitore deve garantire la giusta visibilità e la qualità della personalizzazione del punto di vendita. Sia chiaro, non sto scoprendo nulla di nuovo: i concorsi vetrina si facevano già trent’anni fa, le promozioni sul negozio anche, tutto ciò però avveniva in un periodo in cui tutto era più facile, e se il negozio appariva come un bazar un po’ confuso poco importava. Noi, in Spaziale Splendy, per esempio stiamo proprio cercando di fare questo. Pur in un periodo di massima attenzione alle spese abbiamo deciso che il programma di novità per il prossimo anno lo cadenziamo di trimestre in trimestre, garantendo al nostro cliente, a ogni uscita, un nuovo argomento da proporre al consumatore. Un flusso continuo di stimoli per motivare e rimotivare il traffico nel punto di vendita. Abbiamo presentato la collezione Twin Colours a giugno nei negozi, e a ottobre usciamo con la nuova Stripes Colours, e via così. Naturalmente a fianco delle novità c’è la piena disponibilità a costruire operazioni pubblicitarie e promozionali sul territorio a fianco del cliente. Certo che questo sforzo deve presupporre la giusta visibilità e un uso coerente degli strumenti che mettiamo a disposizione del partner.
A costo di sembrare noioso, mi ripeto. I nostri sono solo esempi di come penso si dovrebbe operare ma, a parte le strategie aziendali che possono essere le più diverse, il cambiamento che deve avvenire – una vera e propria rivoluzione, in questo caso – è quella che regola la collaborazione tra produttore e dettagliante. Questo momento così particolare e drammatico dell' economia lo supereremo solo se stiamo uniti, se creiamo progetti insieme, se insieme – ognuno forte delle sue competenze – diventiamo consci che chi abbiamo a franco non è una controparte valida solo per una contrattazione. Ecco, sta tutto qui il cambiamento: alla parola “contrattazione” dobbiamo sostituire “collaborazione”.
Qualche numero per essere brutali ma sintetici, un negoziante disponibile a rivedere il proprio parco fornitori, secondo lei quanti ne dovrebbe mantenere?
Sono molto diretto e chiaro, perché tante volte questo argomento è stato affrontato in ambito abbigliamento: quindici fornitori sono un numero più che sufficiente per costruire un’offerta completa ed esaustiva. Purtroppo la media è ben più alta, supera tranquillamente il doppio. Insisto, restringere il numero dei fornitori alleggerisce il magazzino – bisogna avere il coraggio di svuotare il negozio, ridurre l’offerta, renderla più chiara – rende più facile la gestione, semplifica il rapporto con un consumatore facilitato nella lettura dell’immagine del negozio e, in particolare, permette al negoziante di pretendere dai fornitori prescelti una vera e propria alleanza e non il solito rapporto di subalternità.