Report convegno “Made in Italy: un ponte verso Est”

Made in Italy Un ponte verso est, il convegno promosso da Messe Frankfurt e Casastile a marzo a Milano, è stato un vero e proprio tavolo di lavoro intorno a cui si sono confrontati designer, consulenti, imprese e istituzioni sulle modalità per valorizzare la produzione del nostro Paese nei mercati internazionali.

Secondo Marinella Loddo, direttrice di Ice Milano, “si nota uno spostamento del baricentro della domanda mondiale verso i Paesi emergenti, sia vicini che lontani“. Ciò che emerge è una forte richiesta di italianità
all’estero, sia per l’immagine che l’Italia ha dal punto di vista dello
stile di vita, dei prodotti, dell’alimentazione, del design, della
moda, dell’arredamento, sia per le eccellenze dimostrate in settori come la meccanica, la bio e le nano tecnologie.

In base ai dati dell’11° rapporto sviluppato da Ice, tramite la sua Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane (ITA), in collaborazione con Prometeia, si sta verificando un notevole spostamento degli attori
nei mercati internazionali. A parte alcune difficoltà di carattere
geopolitico nell’area MENA, sono l’Asia e soprattutto la Cina i nuovi
contesti in cui cresceranno nei prossimi anni le nostre esportazioni: “La domanda europea è ancora stagnante – ha affermato Loddo – e
ci spinge a seguire nuove modalità di consumo e di acquisto. L’Asia è
la regione geografica in cui sta avvenendo il maggiore fermento e la
Cina sarà il primo mercato mondiale tra il 2030 e il 2040
“.
Le opportunità sono molte e, per avere successo, i nostri export manager devono imparare a conoscere prima di tutto la base culturale di
questi Paesi, che per molti versi è molto differente dalla nostra:
alcune tipologie di prodotto, infatti, soprattutto nell’ambito della
cucina, della tavola e dei prodotti per la casa, sono fortemente
correlate alla cultura d’appartenenza.
Invito inoltre l’Italia a
una maggiore aggregazione per filiera, per prodotto, per fare una
sintesi dell’offerta, anziché ampliare la diversificazione
– ha precisato Loddo –: il nostro Paese a livello distributivo
ha un handicap considerevole poiché senza la presenza di grandi catene
di distribuzione, come in Francia per esempio, non si riesce a penetrare
in modo incisivo nei mercati stranieri. Ice a tal proposito si propone
per fare da tramite nello sviluppo di progetti, soprattutto per quelle
Pmi che non hanno grandi possibilità economiche per investire in modo
solido
“.

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Francesco Galli, docente di design strategico alla Scuola Polidesign del Politecnico di Milano,
non ha dubbi: per aver successo nei mercati dell’Oriente non basta
proporre prodotti nuovi ma è necessario puntare su quello che sta dietro
ai prodotti, sul loro background.

Ha esordito portando l’esempio del più importante sito di compravendita Internet cinese chiamato Alibaba: “In Italia conosciamo eBay o Amazon – ha spiegato Galli – ma,
confrontati con Alibaba, raggiungono numeri davvero inferiori: se il
giro d’affari di eBay ammonta a 15 miliardi di dollari e quello di
Amazon raggiunge i 74 miliardi di dollari, Alibaba si attesta su cifre
vicine ai 170 miliardi di dollari. Il problema è che i prodotti proposti
non sempre corrispondono a oggetti originali di qualità garantita
“.
Il
professore, infatti, ha condotto un facile esperimento: digitando nella
ricerca su Alibaba “Poltrona Frau” sono comparse decine di prodotti,
con prezzi variabili da 50 a 500 dollari. “Il cinese medio compra Poltrona Frau su Alibaba – ha affermato Galli – ma non conosce la storia del prodotto. Se la conoscesse forse sarebbe disposto anche a pagare 2.000 euro per una poltrona“. Non c’è cultura del prodotto
dunque, ma la colpa non è soltanto dei locali. Anzi. L’Italia ha
compiuto molti errori negli ultimi dieci anni, in un momento in cui la
Cina è cambiata radicalmente.
Secondo Galli, il problema principale sta nel fatto che non si riesce a controllare il fattore principale: l’indotto. “Non
dobbiamo concentrarci semplicemente sul vendere presentando un
prodotto. Troppo facile, perché abbiamo oggetti fantastici. È
necessario, invece, in collaborazione con gli istituti italiani di
cultura all’estero, sviluppare progetti formativi per
far “parlare” l’Italia fuori dai propri confini. È davvero impensabile,
per fare un esempio concreto, che un Paese come la Finlandia venda il
proprio design, mentre l’Italia non ne sia capace. Qual è la soluzione? Viaggiare, viaggiare molto e creare prodotti formativi per far conoscere in modo serio la nostra qualità all’estero
“.

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Come orientarsi fra dazi, contratti, joint venture?
Una prima risposta a queste domande le ha date Alessandra D’Autilia, responsabile del China desk di UniCredit International Centre Italy. Il punto di partenza sicuramente è la massima attenzione e tutela, per affrontare un mercato con grandi prospettive.

La Cina nel giro di trent’anni ha compiuto passi da gigante, con una velocità di evoluzione impensabile – ha affermato D’Autilia –: oggi molti giovani di 20-30 anni partono alla volta della Cina, perché rappresenta il futuro“.
Le problematiche dal punto di vista bancario, però, non sono scontate come in Europa. Ci sono alcune accortezze da prendere seriamente in considerazione per intraprendere un’attività in Cina: “Prima di tutto è fondamentale la registrazione nazionale del marchio, del brevetto – ha dichiarato D’Autilia -. Il fatto che un marchio sia registrato in Italia non garantisce protezione in Cina. Inoltre è importante la scelta del nome in cinese, selezionare un bel significato per non rischiare nomi ridicoli a causa della traslitterazione in ideogrammi cinesi“.
Le modalità di ingresso nel Paese sono diverse e dipendono principalmente dall’impegno finanziario. Secondo le indicazioni di D’Autilia, il grado di controllo che si riesce a ottenere su un’attività è direttamente proporzionale all’impegno economico richiesto. Per esempio, se si fa affidamento su un distributore, l’impegno finanziario è basso ma lo è anche il grado di controllo.
Io sconsiglio sempre le joint venture – ha spiegato D’Autilia -: anche se la maggioranza appartiene alla parte italiana, il cinese pur avendo la proprietà del 20-30% pretende di comandare e non è facile andare d’accordo, in una situazione di conflitto continuo“.
È sempre bene dunque stipulare un contratto molto preciso che indichi in modo dettagliato ogni clausola, tenendo sempre conto che in Cina le tasse e i dazi sull’import sono pari al 17%, vige una consumption tax sui beni di lusso e si applicano dazi variabili e temporanei su settori diversi.

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La Cina è un oceano totalmente vergine da conquistare ma dobbiamo comportarci nel modo corretto: andare incontro alla loro cultura facendo conoscere la nostra“. Il designer, architetto Massimo Mussapi ha raccontato la propria esperienza di precursore “verso Est”, grazie all’apertura di uno studio in Cina diversi anni fa.

Situazioni spesso imbarazzanti e addirittura comiche mi hanno forzato e dato la spinta per la sopravvivenza – ha affermato Mussapi –: sono stato costretto a cercare di capire certi comportamenti, sono entrato quasi fisicamente nella loro testa per comprendere la loro visione, focalizzando l’attenzione sui modi di intendere e ragionare. Sono convinto che si dovrebbero fare dei training prima di sbarcare in Cina perché l’approccio alla vita è completamente diverso“. I punti fondamentali da tenere sempre presente, secondo Mussapi, sono: in Cina il denaro è l’unico interesse, è la cosa più importante; al centro di ogni cosa vi è il desiderio di ricchezza. In secondo luogo, i locali non sanno riconoscere il “ben fatto”, non hanno gli strumenti per capire quando gli oggetti sono fatti bene, non si spingono al di là del bello. Inoltre, hanno bassa capacità di spesa: basti pensare che nel 2013 il salario medio cinese si è attestato sui 300 euro. È per questo motivo che spesso essi si accontentano di possedere qualcosa che “assomigli” a un oggetto fatto bene. Infine, sono dotati di alta capacità produttiva e progettuale.
Il rischio per noi italiani – ha dichiarato Mussapi – è di perdere, anche noi, la capacità di riconoscere le cose fatte bene. Non dobbiamo assecondare questo atteggiamento, ma tenerlo a distanza. È necessario fare la differenza con la qualità delle idee. Reinvestire i nostri profitti sulla qualità delle idee è fondamentale: puntare su ricerca, formazione, coraggio per le aziende. Pensare di andare a vendere un prodotto solo perché è valido non ha senso. L’oggetto va portato in loco e raccontato, facendo capire il perché di quella produzione“.

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Le manifestazioni fieristiche continuano a rappresentare lo strumento principale per l’internazionalizzazione. E le nostre aziende sanno bene che è fondamentale lavorare con le piattaforme fieristiche internazionali. Una di queste è Messe Frankfurt, rappresentata durante il convegno da Donald Wich, amministratore delegato di Messe Frankfurt Italia.
Ambiente è una manifestazione che ha un tasso di internazionalità di visitatori ben al di sopra del 50% – ha affermato Wich –: abbiamo riscontrato una forte crescita di pubblico estero, soprattutto cinese. Fino a pochi anni fa i visitatori cinesi non erano visti di buon grado da noi attori del settore fieristico, fondamentalmente per il timore del fenomeno delle copie. Ora, invece, ai cinesi si stende il tappeto rosso, poiché in questo Paese ci sono opportunità eccezionali“.

Messe Frankfurt opera in diversi settori e ha come obiettivo creare il presupposto per internazionalizzare il made in Germany. Fin dagli anni ’80 sono state realizzate piattaforme internazionali nei diversi mercati, vero e proprio trampolino di lancio per le imprese. “In Cina organizziamo oltre 40 manifestazioni grazie alla collaborazione delle nostre filiali – ha spiegato Wich –: siamo diventati una multinazionale fieristica“.
Dal 4 al 6 giugno 2014 a Tokyo si terrà la fiera Interiorlifestyle, per i settori della tavola, cucina, complemento d’arredo, regalo e tessili, che, nella passata edizione ha totalizzato un numero di espositori pari a 705 (473 giapponesi e 232 provenienti da altri Paesi), con un’affluenza di visitatori in crescita rispetto al 2012: 25.456 persone hanno esplorato i padiglioni fieristici (24.728 giapponesi, 728 di altri Paesi): “Il mercato giapponese non è propriamente considerato emergente – ha spiegato Wich –: ma il mercato interno è ripartito con tassi di crescita molto alti e sta iniziando a risalire“.
Dal 26 al 28 novembre 2014, sempre a Tokyo si terrà anche la fiera IFFT, Interiorlifestyle living (una sorta di “Salone del mobile”, secondo le parole di Wich, su cui sono stati innestati altri comparti come quello del complemento d’arredo) che nel 2013 ha aumentato la propria superficie espositiva del 6% rispetto all’anno precedente, con un aumento di visitatori del 5% (per un totale di 19.268).
InteriorlifeStyle avrà luogo anche in Cina, dal 18 al 20 settembre 2014, precisamente presso lo Shanghai New International Expo Centre, su una superficie espositiva che nel 2013 ha raggiunto i 18.300 metri quadri.
Messe Frankfurt offre supporto alle aziende italiane organizzando progetti specifici, in collaborazione con Promos, Unioncamere Nazionale, Confartigianato, Ice, Cna – ha spiegato Wich –: per esempio, la presentazione collettiva delle Pmi italiane chiamata “Italia Lifestyle – Home&Design“.

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Sono mercati davvero complessi: le culture culinarie sono completamente diverse e l’azienda deve saper affrontare queste sfide in modo corretto e sostenibile“. Vittorio Marangoni export manager di Ballarini ha portato l’esempio di un’azienda gestita dalla famiglia da cinque generazioni.

Da oltre sessant’anni questa realtà, leader nella produzione di strumenti di cottura con rivestimento antiaderente, opera nel campo dell’export: oggi i dati dimostrano come Ballarini esporti circa il 70% della propria produzione, mentre la restante parte viene venduta sul mercato nazionale. “La nostra prima area di business è senza dubbio la Germania – ha affermato Marangoni –: si tratta di un mercato difficile, saldamente nelle mani di marchi tedeschi. Questo però ci ha consentito di trovare chiavi di lettura differenti per confrontarci con questo tipo di mentalità. Altri mercati per noi rilevanti si trovano in Russia, Paesi Bassi e Olanda; abbiamo inoltre aperto la seconda filiale commerciale negli Stati Uniti, che opera da circa tre anni con una struttura e logistica tutta americana“. Marangoni ha spiegato come dal 2008 abbiano iniziato a crescere d’importanza nel business aziendale anche i mercati dell’Oriente, India e Cina soprattutto. “Ballarini ha sempre deciso di mantenere la produzione in Italia, precisamente a Rivarolo Mantovano, dove si fabbrica il 100% dei nostri prodotti. Per riuscire a conservare questo valore, abbiamo dovuto investire molto: in nuovi macchinari e in tecnologie innovative. Abbiamo mantenuto il dna originale ma ci siamo evoluti, crescendo e migliorando“.
Ballarini ha puntato molto sul concetto di ecosostenibilità, considerato oggi importante anche in un Paese come la Cina (notoriamente molto inquinato – ndr): utilizza sempre leghe di alluminio pure e materiali riciclati e riciclabili. “Abbiamo portato il discorso ambientale a un livello completamente nuovo, con un’ottica innovativa, cercando di trasmettere un modo di cucinare un po’ diverso” ha concluso Marangoni.


Anche per Antonio Mandruzzato, Business Unit manager Vetri delle Venezie, è fondamentale accrescere le esportazioni dei prodotti per incrementare il proprio business. “Da oltre dieci anni abbiamo sviluppato una linea di prodotti per la casa – ha spiegato Antonio Mandruzzato – e oggi possiamo affermare che l’80% del nostro fatturato è frutto di esportazioni all’estero mentre il 20% deriva dalla vendita su territorio italiano

Il brand è un divisione dell’azienda Vetrerie Riunite, leader di mercato nella produzione di vetro tecnico (ad esempio produce oblò per lavatrici, lavorando con grandi marchi del settore degli elettrodomestici come Lg, Samsung, Electrolux, Indesit). Antonio Mandruzzato, ha illustrato il cambiamento che un’azienda del made in Italy come la sua ha affrontato negli ultimi anni per far fronte al confronto con nuovi mercati.”I nostri prodotti tableware  risultano particolarmente interessanti, non solo per i Paesi limitrofi come la Spagna, la Francia o la Gran Bretagna, ma anche per i mercati sudamericani e asiatici. In Asia, in particolare, abbiamo riscontrato ottimi risultati,  non tanto in Cina quanto in Giappone. Il popolo giapponese ha dovuto affrontare momenti di difficoltà economica alcuni anni fa, ma ha sempre ricercato la qualità nei propri prodotti. E questo ci distingue rispetto alla concorrenza mondiale. Inoltre esempio, in questo Paese è molto vivace il mercato degli acquisti legati alle nozze. Un item che vendiamo moltissimo poi è  la coppa per servire il gelato: in Giappone, infatti, sono grandi fruitori di questo dolce“.
Mandruzzato ha raccontato questi esempi per far capire quanto sia importante conoscere a fondo la cultura di un Paese, impararne a capirne gli usi e i costumi, per trovare un filone di business interessante sia per i : “Prima di affrontare un mercato nuovo noi lo analizziamo attentamente  trascorrendo anche direttamente circa due-tre settimane sul territorio, per cercare di comprenderne i trend di consumo, le abitudini di vita equali siano i canali distributivi preferenziali su cui puntare – ha affermato Mandruzzato -. Ad esempio sul mercato cinese, abbiamo deciso di saltare il processo del distributore locale, andando direttamente a parlare con i buyer delle grandi catene. In Italia purtroppo non abbiamo la presenza di catene distributive che operino a livello internazionale e che quindi  siano presenti anche sui mercati esteri perciò  dobbiamo bussare alla porta dei grandi retailer mondiali (Usa, Francia, Gran Bretagna). Certo le tempistiche sono più lunghe ma poichè questi gruppi richiedono standard qualitativi certificati ciò ci ha stimolato a crescere anche a  livello di processi produttivi: per entrare in WallMart ad abbiamo impiegato due anni e mezzo, però oggi i nostri prodotti sono presenti in tutto il mondo all’interno di questa insegna”.

Francesco Mastrocola, Manager Export Asia IVV Industria Vetraia Valdarnese ha presentato un altro caso di eccellenza tutta italiana. Ha ricordato che esistono differenze enormi tra Paesi e che è fondamentale conoscere a fondo il territorio su cui si decide di puntare, per evitare spiacevoli equivoci o sorprese sgradite, oltre al fotto di puntare su un prodotto di qualtà riconosciuta e riconoscibile

Abbiamo investito in macchinari nuovi e in tecnologie all’avanguardia – ha spiegato Mastrocola durante il convegno – garantendo unicità ai nostri prodotti, grazie agli operatori con cui collaboriamo. Abbiamo più di duemila referenze in catalogo e il nostro fatturato è suddiviso equamente tra mercato italiano e Paesi esteri. L’Iran è una delle nazioni emergenti in cui vendiamo di più: la popolazione predilige di gran lunga il prodotto in vetro, ama mangiare e bere con stoviglie di vetro e c’ è un grande senso di scambio sociale, che porta le famiglie a invitare molte persone a casa e ricevere ospiti. Si tratta di un Paese in cui il fascino del made in Italy, inoltre, è altamente riconosciuto. Le nostre esperienze avvengono principalmente tramite distributori. La nostra mission non è quella di cercare partner produttivi, ci teniamo a mantenere la produzione interamente in Italia anche  caratterizzando il prodotto con un prezzo medio piuttosto alto. A Hong Kong abbiamo stipulato una joint venture con una designer e sommelier locale che ci affianca e insegna ad approcciare la cultura locale. In Cina, dallo scorso gennaio, ci siamo affidati a un ufficio tramite un advisor: il partner cinese diretto è infatti poco affidabile, è difficile che i contratti vengano rispettati appieno. La scelta dell’advisor ci tutela e ci garantisce di poter operare in tranquillità: la nostra sfida è creare una identià di  brand in Cina, come abbiamo già fatto in Giappone. Tenendo sempre conto che le differenze tra Paesi sono abissali: gli stessi social network e Google viaggiano su piattaforme diverse. Noi vorremmo utilizzare proprio una comunicazione basata su social network dedicati e siti internet ed anche per questo il contributo di un advisor locale è fondamentale“. Mastrocola ha ricordato, infine, che le aziende cinesi “si muovono” nel mondo grazie al supporto del Governo e si organizzano tramite Unioni tra imprese; le italiane, invece, hanno maggiori difficoltà a fare sinergia, mentre un lavoro condiviso e univoco sarebbe fondamentale per entrare in nuovi mercati.

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