Tanta voglia di brand

Un’azienda con una lunga storia tessile alle spalle e una struttura solida e verticalizzata. Collezioni per le quali sono garantite qualità e performance al punto da aver ottenuto la certificazione TF per la tracciabilità. Un sistema di gestione del magazzino e della logistica di assoluta avanguardia. Tutto questo è la Mario Cavelli Spa. Ma il futuro, secondo gli esponenti della famiglia tessile giunta alla terza generazione d’imprenditori, passa per un’affermazione forte del marchio che, nelle strategie future, deve passare appunto da marchio d’impresa a marca di prodotto. Intanto, nelle collezioni 2012 domina ancora il naturale per il mercato interno e la decorazione importante per l’esportazione.

Partiamo subito da un presupposto di chiarezza: parliamo di una delle poche, quasi unica azienda italiana, che si è preoccupata di ottenere – già da tre anni – il certificato TF (Traceability & Fashion) rilasciato da ITF (Italian Textile Fashion). Il certificato attesta la tracciabilità del Comparto Moda controllata dal sistema delle Camere di Commercio Italiane e rende a conformità – nel caso di Mario Cavelli Spa – i campi di produttività di filatura, tessitura, nobilitazione e confezione e le linee produttive inerenti a prodotti in filato discontinuo, continuo e loro misti. Al di là del gergo tecnico siamo di fronte a un’azienda che può esibire la vera e indiscutibile appartenenza al campo del Made in Italy per le sue collezioni di tessuti e tendaggi. Ora, siccome il “Made in Italy” è davvero un valore, ma oggi è pericolosamente sulla bocca di tutti, abusato ed esibito anche da chi poco ha a che fare con la produzione nazionale, è bene definire il fatto – forse non tutti ne sono al corrente - che gli strumenti per determinare la tracciabilità reale del processo e del prodotto conseguente esistono, sono precisi e identificati. Quindi, al di là delle dichiarazioni, questa impresa può dimostrare ciò che afferma senza dubbi o timori di smentita. Questa premessa non vuole in nessun caso avere un tono aggressivo ma definire con quale chiarezza d’intenti si muove sul mercato la Cavelli certamente sì. La nostra indagine su questa impresa doveva inizialmente vertere sulle nuove collezioni protagoniste del 2012 e su come un’azienda tessile verticalizzata oggi affronta questo mercato di sempre più difficile lettura. Parlando però con Cristiano Cavelli (direttore commerciale dell’azienda), suo padre Mauro, presidente della società e ben conosciuto anche per il suo attuale ruolo di presidente di Proposte e Franca Piombini, direttrice dell’ufficio stile dell’azienda, ci siamo trovati a scivolare su ragionamenti che sono abbastanza rari per un’inchiesta su una realtà del tessile d’arredamento che non produce alcun prodotto finito.

Dall’invisibilità all’affermazione del marchio

Per dare peso alle affermazioni dei manager nostri interlocutori è bene però dare qualche informazione su questa solida attività industriale. Stiamo parlando di una società per azioni a carattere familiare – nata nel 1933 - che opera su un ciclo produttivo completamente verticalizzato. Gli impianti di produzione, gestione, logistica e uffici, coprono circa 20mila metri quadrati – Tessitura a Lurago Marinone, tintoria, ricamificio e stamperia a Busto Arsizio centro, magazzino e uffici sempre a Busto Arsizio, ma in zona industriale – per un totale di oltre cento dipendenti. Uno degli elementi di eccellenza di quest’azienda è il magazzino automatizzato, capace di contenere oltre 18mila pezze e in grado di “trattare” oltre 300 pezze al giorno con una gestione totalmente affidata al computer. Mario Cavelli esporta il 40% delle sue collezioni nei principali mercati del mondo e ha un fatturato che si muove nel territorio dei dodici milioni di euro. Della tracciabilità abbiamo già detto, ma in ultimo aggiungiamo che l’impresa, per le sue collezioni “contract” in tessuti ignifughi antifiamma Classe 1 ha registrato un marchio – X-Fire – che ne garantisce la massima sicurezza. Detto tutto ciò ci aspettavamo, a parte le preoccupazioni congiunturali ovvie dovute al periodo, un’opinione ampiamente positiva rispetto al medio periodo. Invece… Invece Cristiano Cavelli ha messo subito in luce le grandi difficoltà che il mercato italiano attraversa, e non sono difficoltà – a suo parere – legate solo all’attuale crisi economica. «Il panorama distributivo nazionale del tessuto e del tendaggio è in una fase molto problematica – spiega il direttore commerciale. – In passato il tappezziere era una figura determinante della distribuzione e un punto di riferimento nel rapporto col consumatore. Oggi, per una serie di ragioni che non sono solo legate alla bassa disponibilità di spesa, questo rapporto si è sfilacciato, diradato. L’afflusso di clientela è calato pressoché uniformemente in tutte le regioni italiane e la gamma prezzi è sovente troppo alta per attrarre l’utente finale. Naturalmente è un quadro che non poteva che creare enormi problemi anche alla figura del grossista. Data questa situazione per il mercato italiano, noi ci siamo progressivamente spostati nell’ambito del contract per il tendaggio e nella tovaglieria – in questo campo principalmente per l’hotellerie e la ristorazione – riuscendo ad acquisire importanti quote di lavoro, ma quello che è il territorio classico della storica distribuzione di settore credo sia oggi un grosso punto interrogativo».

In questa situazione l’azienda di Busto Arsizio continua a esibire uno sforzo creativo immutato, che – per fare un esempio relativo al 2012 - si è concretizzato nella presentazione di oltre duecento nuove proposte nella collezione di maggio: «Questa azienda investe ogni anno tra il 5 e il 7 per cento del fatturato in ricerca e produzione di novità - ci spiega Franca Piombini – ed è uno sforzo non solo economico. Tutti invocano la razionalizzazione delle collezioni – belle parole – in realtà diventa quasi impossibile fare programmazione, le proposte si parcellizzano, la vita media di una collezione si accorcia, la divaricazione degli stili comporta la necessità di progettare “items” diversissimi fra loro e, non ultimo, il campo della ricerca non si limita più al solo alla decorazione ma si espande sulle performance del prodotto e, soprattutto, sui processi di finissaggio e nobilitazione successivi alla tessitura. In poche parole le variabili che determinano l’affermazione di una proposta si sono moltiplicate aumentando esponenzialmente anche le necessità d’impegno». «È proprio così – interviene Mauro Cavelli, presidente della società – oggi gran parte del risultato positivo di una presentazione non si gioca sull’estetica, ma sulla “mano” del tessuto. Il decoro, la sua declinazione cromatica e stilistica, sono caratteristiche date per scontate dal cliente mentre l’effetto tattile, soprattutto quando partiamo da fibre tessili non intrinsecamente naturali è il vero discrimine. E anche quando le materie non sono artificiali spesso la nobilitazione è indispensabile ad aumentare le risposte in efficienza del tessuto».

Italia naturale, estero decorativo, “contract” minimale

In effetti il panorama descritto impone alle imprese uno sforzo davvero importante e molto articolato per organizzare le collezioni in modo da essere stimolanti e facilmente leggibili. Su questa semplicità di lettura l’azienda bustese punta molto:«i nostri campionari, per esempio, sono il frutto di un lavoro lungo e complesso – spiega Cristiano – quasi maniacale. Per noi le fotografie d’ambiente sono una caratteristica fondamentale e una sorta di biglietto da visita imprescindibile. Devono essere perfette. Tenente presente che la realizzazione di un campionario ci impegna per settimane e settimane e la realizzazione delle immagini è il centro focale di tutto il lavoro. In realtà questo è un esempio della strada che sono certo dobbiamo intraprendere per il futuro, anche quello più vicino. Il nostro comparto sta cambiando: se anche solo poco tempo fa non c’era necessità di visibilità e di affermazione del marchio per un’azienda come la nostra collocata nella parte alta della filiera, già oggi è tutto diverso. È vero, noi facciamo del semilavorato, non potremo mai prescindere da un passaggio finale attraverso un artigiano installatore per le tende o un produttore di mobili per gli imbottiti però, in qualche modo dobbiamo trovare la strada per rendere il nostro marchio una marca. È troppo importante rendere tangibile la differenza tra i nostri prodotti e quelli che giungono, incontrollati, da una importazione per la quale l’unico valore è l’esasperata battaglia del prezzo. Noi abbiamo un imperativo: far conoscere a chi è utilizzatore finale la differenza fra una tenda prodotta in Italia e una proveniente dalla Turchia, dalla Cina o da qualunque altro posto. Non mi interessa demonizzare nessuno ma solo avere la possibilità di confrontarsi ad armi pari. Per questo noi vogliamo metterci “la faccia”, cioè diventare un brand riconoscibile fino al termine della filiera, in modo da poter spiegare e difendere le scelte di strategia merceologica e gli indirizzi di valorizzazione che perseguiamo. La certificazione di tracciabilità è solo il primo passo in questo senso».

Tutto chiaro, negli intenti e nelle azioni intraprese, ma entrando nello specifico delle collezioni, quali sono le tendenze sulle quali Cavelli ha puntato per quest’anno?:«Diciamo che per il mercato italiano – interviene Franca Piombini – vale ancora un’interpretazione molto naturale delle materie. Soprattutto lini e cotoni, e in seconda battuta le sete. Le lavorazioni di tessitura si alternano fra trame evidenti e tridimensionali e motivi meno visibili e minimali. Oltre alle tinte delle gamme naturali, sono ancora vincenti le coloriture terra e c’è sicuramente un certo rinforzo del colore tutto da verificare però sulla presa del pubblico. Il ricamo ha sempre una sua quota di estimatori che si muove preferibilmente nel territorio del classico, mentre la lavorazione moderna è gradita solo se è molto particolare e non eccessiva. Tutto diverso l’approccio estetico per l’esportazione. Soprattutto per i paesi dell’Est Europa è un vero trionfo del decoro: forte e visibile, quasi ridondante. Piacciono i motivi grandi e importanti. I devoré fitti e visibili, spesso anche in versione “negativa”. Nel “contract”, invece, sono banditi gli eccessi perché è invocata la massima flessibilità di cartelle cromatiche e dei motivi grafici, difficilmente si esce dal solco del colore/non colore salvo che per progetti specifici guidati da architetti con gusti decisi: in realtà poi tutto si gioca sulla variabile prezzo e sulle garanzie qualitative e performanti della collezione. Infine c’è il settore del tovagliato. Qui l’argomento è chiaro: lavoriamo nel campo dell’ospitalità e della ristorazione quindi i campionari sono di più semplice progettazione. Indiscutibilmente tutto jacquard, con quattro o cinque temi di decorazione – dall’unito al grande disegno tono su tono – tutti coordinabili fra loro, per una cartella colore ampia e ben declinata. Nella ristorazione la tavola è molto vestita e quindi il tessuto ha un ruolo ancora importante, è quindi un mondo dal quale possiamo trarre parecchie soddisfazioni»

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