Self-made woman

Anna Bee
Anna Bee

La storia di Anna Bee è esemplare. È racconto intriso d’impegno e di testardaggine. Di volontà e d’incrollabile fiducia in se stessa. Di successo e affermazione. Oggi il suo nome è indissolubilmente legato ad Hammerfest, una piccola azienda specializzata nell’imbottito in piuma che ha raggiunto un livello di affidabilità e di notorietà tra la sua clientela invidiabile da parte d’imprese ben più grandi. È una storia nata in un rapporto col lavoro sbocciato prestissimo ed è forse proprio l’attaccamento alla manualità, alla testarda volontà di fare, e non solo di progettare, uno dei segreti del successo di Anna e della sua impresa trentina.

Sulla scrivania, a fianco di carte, relazioni, fatture, indici di produzione, ha una chiave inglese. Ma non è una forma arcaica di autodifesa personale. Per Anna Bee, veneta di nascita, classe 1967, è il segno che non ha mai abbandonato, e mai abbandonerà, un rapporto strettissimo con la quotidianità della produzione, con le macchine, con il lavoro intenso nel senso più naturale e autentico. Confesso che non ho mai apprezzato il paragone usato da tanti quando si trovano di fronte a una donna energia e combattiva e la definiscono (sto sull’educato) “una donna con gli attributi”. Non c’è nulla che possa giustificare la definizione di una donna forte solo come una lontana riproduzione di un uomo, e infatti Anna Bee sarà pure molto energica, sarà pure un’appassionata motociclista, sarà pure abile a maneggiare gli utensili, ma non ha nulla a che fare con la copia sbiadita di un maschio. Racconta, quasi divertita e senza alcun timore, dei suoi esordi da adolescente prima in un istituto alberghiero e poi in uno stage professionale in una azienda tessile della sua zona, nel bellunese, di come tra i dodici allievi di quello stage solo lei è rimasta e, in breve tempo, si è quasi impossessata dell’officina, svolgendo i compiti più diversi ma, soprattutto, lavorando sulle macchine da cucito a contatto con la materia che più l’affascina, la piuma. E poi, in sostituzione di un’assenza per maternità, il primo approccio col mondo della vendita e della commercializzazione. Per dieci anni – tra l’85 e il 95 – rimase in quell’azienda mettendo in luce una capacità eclettica fuori dal comune, tanto che un industriale metalmeccanico conosciuto nel frattempo le propose di gestire e rilanciare un’azienda tessile (di abbigliamento sportivo) da lui appena rilevata. Altro passo in avanti e altra esperienza acquisita. Ma è alle soglie del 2000 – 1998 per la precisione – che arriva l’occasione della vita: con l’aiuto di due investitori, Anna Bee crea Hammerfest. Gira la sua regione e quelle limitrofe per trovare una sede. Affitta un vecchio capannone da ristrutturare, imbraccia un rullo e imbianca la sede, compera una trapuntatrice usata e due macchine da cucire. Sono in tre e cominciano a produrre confezionato nel campo dell’abbigliamento imbottito in piuma. Dall’abbigliamento alle linee casa il passo è quasi immediato e nel giro di due anni Hammerfest decolla: le addette in azienda, lei compresa, diventano 25. Il vecchio capannone sta stretto e si comincia a fare sul serio sul mercato italiano con una collezione articolata e composita di trapunte e piumini da imbottitura.

Signora Bee sono ormai trent’anni che lei è nel mondo del lavoro avendo cominciato giovanissima e dai gradini più bassi. Rimpianti per aver scelto un percorso così complicato e faticoso?

Nessuno. Se si è fortunati, la propria storia è il frutto delle proprie scelte. Io non amavo studiare, lo dico senza timori, mentre mi piaceva molto la manualità, il lavoro. Avrò preso questa inclinazione da mio padre, artigiano del ferro, e mi sono sempre ritrovata in questo profilo. Non avendo nessuna matrice tessile nella mia famiglia, ho imparato ad amare questo mondo lavorandoci dentro e credo che questo approccio sia davvero autentico perché, ancora una volta, è il frutto del bagaglio personale e non di stimoli, o peggio, imposizioni altrui. Poi sono stata brava e ho avuto fortuna. Altri hanno avuto fiducia in me e io, magari un po’ tremando dalla paura, ho sempre avuto il coraggio e la presenza di spirito di cogliere le occasioni che mi si presentavano. Linea Trend2 i PiumaplaidDirei che è quasi una condizione del mio spirito quella di accettare le sfide. Ma al contempo mi piace descrivermi come una persona che tiene ben saldi i piedi per terra, quindi non smetterò mai di sottolineare quanto sono stata fortunata. Però nessun rimpianto.

Lei ha scelto un settore difficile, quello dell’imbottito in piuma da letto, stretta tra i giganti stranieri – tedeschi e austriaci – e grandi e note aziende italiane. Ma non c’era un settore più semplice, anche nell’arredamento tessile della casa, per lanciare la sua azienda?

Può darsi, ma non è con questa riflessione che ci siamo messe a lavorare, in tre, quando la Hammerfest è nata. Quello della piuma è un mondo affascinante, io l’ho conosciuto nelle mie prime esperienze lavorative per poi abbandonarlo quando mi sono occupata di collezioni di abbigliamento sportivo. Mi mancava. Mi mancava il prodotto soffice, il rapporto con questo elemento naturale. L’incontro con gli investitori che hanno creduto in me è stato subito sincero: volevo tornare a fare qualcosa in un comparto di cui avevo nostalgia e credevo fermamente di poter dire la mia. In realtà, all’inizio, noi ci siamo messi a operare nell’ambito dell’abbigliamento imbottito in piuma, ma quasi subito mi sono accorta che la vera inclinazione era verso la casa e l’arredamento del letto. E in quell’ambito ci siamo orientati.

Lei oggi dirige la sua azienda, quindi svolge un ruolo prettamente imprenditoriale e progettuale, le manca la “fabbrica”?

Non mi manca perché non ho mai smesso di starci. Più che un’industriale mi reputo un’artigiana, quindi il rapporto con la produzione è indispensabile. Tra le carte della mia scrivania può anche trovare una chiave inglese, e non è per nulla strano. Direi che è una delle ragioni del buon successo di Hammerfest. Non avremmo mai potuto metterci a concorrere con i giganti, anche italiani del settore, in termini di capacità produttive, comunicazione e quant’altro. I nostri pregi si dovevano cogliere nella qualità e nell’affidabilità delle nostre collezioni e nella facilità con cui costruiamo un rapporto di fiducia col cliente. Usando parole di marketing potrei dire che la nostra forza sta nel customer care e nell’assistenza pre e post-vendita. Non è un caso che i successi di Hammerfest non si misurano sui volumi – anche se non si possono certo ignorare – ma nella fidelizzazione della clientela. Posso dire senza eccedere in “pubblicità” che un cliente che prova Hammerfest difficilmente ci abbandona. E questo vale sia per il dettaglio specializzato che raggiungiamo con le nostre collezioni, sia per la clientela verso la quale operiamo come terzisti.

Ecco appunto, quanto conta per voi il lavoro conto terzi?

Parecchio. Fatto cento il nostro fatturato sul prodotto finito, diciamo che il 70 è rappresentato da collezioni a marchio Hammerfest e il 30 è produzione conto terzi, sia nell’ambito del residenziale sia in quello dell’hotellerie. Credo che questa suddivisione percentuale descriva bene il carattere artigiano della nostra azienda. La personalizzazione dei nostri prodotti, seguendo fedelmente le richieste del cliente, è una delle nostre caratteristiche più evidenti e nel dialogo stretto col B2B si esalta ancor di più.

E veniamo alla gestione della crisi. Mi accennava che nei primi anni del secolo eravate in 25, mentre oggi siete in 15. La crisi dunque ha colpito duro?

La crisi ha colpito e non v’è dubbio. Abbiamo dovuto ristrutturarci e ridurci però, se devo essere sincera, non siamo in una situazione con poche speranze. Certamente ci sono obiettivi che dobbiamo raggiungere. Aprire e migliorare fronti importanti, come l’esportazione, ma non è un quadro negativo quello in cui ci muoviamo. In Italia abbiamo un nucleo di trecento negozi clienti: considerato che sono il frutto di un’attenta selezione maturata nel tempo siamo abbastanza soddisfatti. Dal 2013, grazie alla mia testardaggine, possiamo utilizzare il marchio registrato “Trentino” e questo ci da anche un piccolo vantaggio dal punto di vista della diffusione all’estero, se non altro nell’area di lingua tedesca. Certo bisogna muoversi. Io non credo che, pur essendo convinta della matrice artigiana di quest’azienda, noi ci si debba comportare in modo diverso dalle grandi imprese. Anche per Hammerfest è vitale la ricerca e l’innovazione, la sperimentazione di altri prodotti e di altri ambiti commerciali. Penso solo al lavoro che abbiamo compiuto con l’introduzione dei plaid imbottiti e degli accessori. Possiamo dire che anche noi crediamo fermamente al detto “chi si ferma è perduto”. È ovvio che la sfida non si gioca sul territorio nazionale ma sull’esportazione. Oggi noi abbiamo un indice di export del 20% (Europa, Russia e Asia, ndr) e deve crescere. In questo campo ci sono tutte le difficoltà della piccola azienda a farsi promozione all’estero, però alcune strategie le abbiamo messo in campo.

Quali? Sia più precisa.

Prima di tutto siamo membri Vdfi ed Edfa, associazioni tedesca ed europea dei produttori di piuma e piumino e di manufatti in piuma e piumino. In seguito a severi test eseguiti in laboratorio sui nostri prodotti, abbiamo ottenuto la licenza per l’utilizzo del marchio Nomite. Tutti i nostri tessuti a tenuta di piuma e piumino sono inoltre certificati Oeko-Tex. All’estero sono “titoli” importanti. Poi ci muoviamo con un programma fieristico col quale cerchiamo di metterci in una certa evidenza (Homi a Milano prima di tutto, poi vedremo), in ultimo ci siamo affidati a un’agenzia internazionale che opera “world-wide” e ci dovrebbe aiutare a fare promozione e a farci conoscere. Noto con piacere che all’estero si replica ciò che è successo in Italia, quando un cliente ci trova, difficilmente ci abbandona.

Dal punto di vista della progettazione del prodotto come operate?

La parte progettuale è completamente interna e il team è costituito da giovani. Al di là dei temi estetici che cambiano in continuazione – e per questo ci affidiamo a produttori di tessuto italiani di alto livello – ciò che per me è fondamentale è che la creazione non sia mai guidata dal concetto che stiamo realizzando un prodotto per il letto, ma un vero e proprio elemento di arredo. Non è facile, e in qualche caso può “rallentare” il grado creativo nel timore che si perda il carattere decorativo dell’oggetto, ma sono sempre più convinta che la strada è questa: l’interscambio arredativo tra le varie componenti del vivere quotidiano in casa è sempre più stretto.

VerenaParliamo di materie prime. La piuma da imbottitura dove la comprate?

Compriamo piume e piumini già lavati e sterilizzati da aziende europee certificate che garantiscono la tracciabilità dei prodotti. Le migliori qualità di piumino vengono dai paesi del Nord, dall’Est Europa e da qualche zona della Francia.

Il rapporto con le griffe, voi non partecipate alla corsa alla licenza, mi pare?

No, non ci interessa. Almeno in questa fase. La nostra collezione si qualifica perché ha un marchio aziendale a garanzia. Diciamo che ci mettiamo la faccia. E poi, per il settore della piuma, la condizione della griffe è meno indispensabile a mio parere. Forse ha maggior peso in altri ambito dell’arredamento tessile della casa.

Ultima domanda: nella sua condizione di donna ha avuto particolari difficoltà ad affermarsi?

È una domanda a cui non è facile rispondere. In linea di massima direi di no. Salvo qualche difficoltà a lavorare con i fornitori – anche se siamo nella norma, parlo delle stesse difficoltà d’incomprensione che chiunque può avere con un fornitore – non ho mai notato particolari atteggiamenti discriminatori: Magari questo è avvenuto perché appaio abbastanza forte e sicura e nel “segreto” del pensiero qualcuno potrebbe aver desiderato ostacolarmi, ma nella realtà non è successo. Altro discorso compete le scelte di una donna che vuole affermarsi e ama il suo lavoro. Qui l’argomento diventa spinoso: si è obbligati a fare delle scelte e sopportarne il peso, certamente più degli uomini.

 

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