Merletto, ovvero il nodo che diventa poesia

Pizzo o merletto come sinonimo di classicità, segno di eleganza, materia da collezione, elemento del bello in senso assoluto e non discutibile. Assieme al ricamo è la forma di arricchimento del complemento tessile e della lingerie più riconosciuta e di valore. Nella sua versione “handmade”, dati i costi, è ormai oggetto per una clientela ultraesclusiva, ma nelle versioni “a macchina” può essere alla portata di molti. Gli estimatori del “fatto a mano” potranno storcere il naso, ma noi riteniamo che non ci sia nulla di scandaloso nell’apprezzare il prodotto industriale: è un bene però conoscerne le caratteristiche per non incorrere nei soliti raggiri poiché esistono, ovviamente, grandi differenze qualitative. Parlare di ricami, pizzi e merletti significa entrare in un mondo in difficile equilibrio tra arte e magia, tra storie antiche e medievali che si dipanano nel tempo e sfociano nelle dinamiche attuali della modernità globalizzata. Non ultimo c’è poi il problema di distinguere tra il piacere e l’esercizio personale di un hobby, che può semplicemente diventare passione, e la capacità di valutare con quel minimo di perizia il vero valore di un capo arricchito da questo genere di lavorazioni. Insomma stiamo parlando di quello che può essere definito il campo più complesso e articolato nella sfera del tessile, sia esso d’abbigliamento o arredamento.

Non è un caso che abiti e biancheria per la casa ricamati e arricchiti da merletti e pizzi siano esposti nei musei di tutta Europa. Parlare di storia di ricami e merletti occuperebbe lo spazio intero di più riviste data la complessità e l’articolazione dei rispettivi racconti: sul ricamo affondiamo nella storia più lontana (si parla di ricamo nella mitologia, nei poemi di Omero e di Virgilio e nella Bibbia), mentre per i pizzi e i merletti, siamo di fronte a un aspetto nato e sviluppato nell’ultima parte del Medioevo e nel successivo Rinascimento. Dunque, scevri da ogni volontà di affrontare in poche righe una storia così complessa, ci limiteremo a suggerire alcuni temi e chiarire quelli che possono essere considerati i punti di partenza da cui sviluppare ogni genere di approccio a un mondo affascinante e raffinato.

Un ricamo non è un merletto

Sembra una banalità ma spesso ci troviamo di fronte alla più semplice delle confusioni, soprattutto quando, nelle nuove generazioni, manca quel minimo di cultura tessile familiare che una volta rappresentava la base conoscitiva di ciascuno. Dunque le differenze tra ricamo e merletto (o pizzo, sono sinonimi) sono tanto semplici quanto sostanziali: il ricamo, per essere eseguito, ha bisogno di un supporto esistente, il tessuto; il merletto invece nasce dal nulla, utilizzando solo il filo e gli attrezzi per poterlo eseguire come l’ago, il fusello, l’uncinetto e i ferri. Potremmo dunque semplificare il tutto nella definizione che il ricamo è una lavorazione sovrapposta e opaca mentre il pizzo è un’inserzione o un bordo “libero” e traforato che sostituisce una parte o l’intero tessuto.

Il ricamo, fin dalla sua radice etimologica (lemma che deriva dall’arabo “raqm”) affonda le sue radici nell’antichità, mentre il merletto si affaccia alla storia nel Medioevo. La parola merletto deriva dai merli, da quegli elementi architettonici a coronamento di edifici medioevali di palazzi e torri, che consentivano riparo dall'offesa delle frecce delle balestre e permettevano al difensore di controllare il nemico. La parola "pizzo" sottolinea la somiglianza tra le dentellature di filo e le vette dei monti. Il termine "trina" pare derivi dalla contrazione del rinascimentale "tarneta" e indica elementi decorativi per abbigliamento come bordure di dimensioni ridotte.

Riconoscere falsi e qualità

Saltiamo ai giorni nostri ed entriamo nell’attualità: che sia ricamo o merletto, oggi siamo di fronte a lavorazioni realizzate per la maggior parte grazie a macchine computerizzate. Non c’è da scandalizzarsi anche perché la lavorazione manuale, che esiste ancora anche se sempre più rara, sconfina direttamente nell’arte, sia per i tempi necessari alla realizzazione di un capo in tal modo rifinito, sia per gli evidenti costi che quest’ultimo necessariamente avrà. Non solo, essendo appunto un fatto “d’arte manuale” entrano in campo anche valori di autenticità che competono il territorio, la storia, la cultura del posto e il corretto utilizzo di tecniche e materie, esattamente come per la definizione “doc” di vini e cibi. Tanto per fare un esempio: le innumerevoli copie artefatte del Pizzo di Cantù sono, spesso e volentieri, realizzate a mano (quelle a macchina sono talmente grossolane che anche un cieco le riconoscerebbe) da stuoli di artigiane cinesi, indiane o quant’altro, ciò però non cancella il fatto che sono falsi. A uno sguardo non accurato la copia potrebbe sembrare identica all’originale – perché molte di queste artigiane sono davvero brave – ma nella realtà le differenze sono molte. Per rilevare le differenze tra i pizzi o merletti d’importazione e gli originali canturini eseguiti con i fuselli bisogna esaminarli attentamente al rovescio e controllare il filo di cotone, che per i pizzi di Cantù è fabbricato in esclusiva in Italia e ha un titolo e una qualità assolutamente verificata ed esclusiva. Inoltre le “spranghette” che sostengono il disegno, nella copia lo sormontano, mentre nell’originale no; in ultimo il pizzo falso una volta lavato sarà rigido e legnoso al tocco mentre l’originale rimarrà morbido nel tempo. Scoprire la copia è un esercizio difficile e professionale, non alla portata di tutti: l’unico modo che ha l’acquirente per difendersi dai falsi è quello di richiedere un certificato di provenienza come garanzia d’autenticità del pizzo e merletto. Tutto ciò anche perché stiamo parlando di oggetti di costo importante, che solo nel caso di verificabile autenticità acquistano valore nel tempo: un asciugamano bordato con Pizzo di Cantù autentico costa tra i 150 e i 200 euro, state lontani dalle copie proposte come affare a 50 euro o meno, sono falsi assoluti. Ancor più ampie le differenze nel caso di una tovaglia: se il falso può essere proposto a 200/300 euro (comunque una bella cifra), la tovaglia autentica può raggiungere anche 1500/2000 euro. È evidente che siamo nel campo dell’esclusività assoluta.

Se lasciamo l’ambito della lavorazione manuale e ci concentriamo sulle lavorazioni a macchina scopriamo che in questo caso non si parla di autenticità ma di qualità. Come riconoscere un pizzo di valore da uno scarso? In prima battuta sicuramente il tatto gioca una parte fondamentale: in assenza di etichette (e per questo lavorazioni non ci sono mai), questa è la sensazione più importante. Un pizzo sintetico di scarsa qualità, a parte la trama molto larga che potrebbe evidenziare, scricchiolerà tra le dita se schiacciato e “gratterà” la pelle se passato su di essa. Qualunque sia il costo del capo d’abbigliamento o d’arredamento rifinito in tal modo, statene lontano, sono soldi buttati via. Ma anche il pizzo sintetico può essere di buona qualità: non scricchiolerà e sarà morbido al tatto. Nel caso di pizzi realizzati con filati naturali come il cotone (per esempio il Sangallo) valgono le stesse valutazioni che si applicano per il capo finito: la morbidezza e la precisione del disegno sono determinate dalla qualità del filato, a cui si aggiungono l’assenza di fili isolati e la precisione delle “attaccature tra pizzo e tessuto. Inoltre, sempre per il pizzo in cotone anche una rapida analisi visiva gioca a vostro favore: pizzi grossi e spessi saranno imprecisi e di poca qualità, quindi anche duri e rigidi, mentre più fine è il filato e precisa la lavorazione e meno “grezzo” e accennato apparirà il merletto. Difficile dare una valutazione di prezzo da questo punto di vista: di solito il merletto è una componente d’arricchimento del capo quindi, se non si è specialisti che conoscono i prezzi industriali della componente, è impossibile determinare il valore reale dell’accessorio entro il prezzo finale del prodotto.

Le opportunità della tecnologia

Come prima accennato non si deve assolutamente avere un atteggiamento snobistico nei confronti del pizzo realizzato a macchina perché le opportunità che queste ultime danno al decoro sono enormi e in continua evoluzione. I punti storici del pizzo fatto a mano, secondo lo strumento che viene utilizzato per la lavorazione, si suddividono in pizzi a tombolo (fatti con bastoncini chiamati fuselli), pizzi ad ago, pizzi a punto in aria, pizzi a uncinetto, pizzi semplici. Ogni tipo di pizzo fatto a mano può avere caratteristiche specifiche del luogo dove viene lavorato e prende spesso il nome dalla città d’origine, come il Tombolo di Cantù, il Tombolo Aquilano, il Merletto di Burano, il Puncetto della Valsesia e altri. In questi casi la lavorazione è quella caratteristica ma i disegni e le decorazioni seguono le antiche tradizioni locali. Ovviamente più il pizzo è sottile e più è pregiato. In antichità si usavano fili d’oro, d’argento e di seta, mentre oggi si usa soprattutto filato di cotone, talvolta impreziosito con fili dorati o argentati e pietre preziose. I pizzi fatti a macchina, invece, si suddividono in due categorie, a seconda dei telai che vengono utilizzati per la loro fabbricazione: i pizzi Leavers, sono i più pregiati; originari dell’Inghilterra del XIX secolo, dove vennero costruiti i telai omonimi e successivamente importati in Francia, che oggi possiede quasi la totalità di questo tipo di telai ormai non più costruiti (circa mille su 1.200 totali nel mondo). I telai Leavers non hanno aghi e producono, tramite l’intreccio di un numero elevato di fili, pregiati pizzi, con fondo molto fine e disegni particolarmente definiti e in rilievo. Per riassumere le caratteristiche del pizzo Leavers possiamo dire che ha un disegno ben definito e motivo a rilievo, un punto lungo (fili “morbidi” che “flottano” in superficie), un picot – cioè uno smerlo - pulito, che forma un piccolo anello e un fondo vario, estremamente fine.

Meno preziosi ma molto diffusi sono i pizzi Jacquard: vengono prodotti con i telai omonimi, nati in Germania dopo la Seconda Guerra Mondiale. Questo tipo di pizzo è più spesso, i disegni non sono molto definiti e sono piatti. Le caratteristiche del pizzo jacquard si riassumono in un disegno meno definito e meno vario; picot non ben delineato, a forma di “dentini”; “barre” a maglia per rinforzare il fondo. Questi telai però, essendo i più diffusi, hanno subìto delle evoluzioni denominate Jacquardtronic, Textronic e Supertextronic.

Rispetto all’impostazione originaria le tecniche permesse da tali impianti consentono di ottenere notevoli migliorie con soprattutto motivi più ricchi e di particolare effetto. Permettono anche la lavorazione ricamata con motivi a rilievo molto spiccati particolarmente visibili nei pizzi bicolori. Questo genere di attrezzature industriali permettono di riprodurre disegni complessi tratti da decori di qualsiasi genere con tempistiche totalmente diverse da quelle dell’arte manuale. La tecnica è ovvia: riportare su carta il motivo decorativo e poi trasporre mediante digitalizzazione del disegno la lavorazione su telaio.

Comprare originale: scelta responsabile e protezione del valore

Chiudiamo ribadendo che non è possibile definire se sia meglio un merletto fatto a mano o uno fatto a macchina. Argomenti troppo diversi che competono solo ed esclusivamente le scelte e le disponibilità personali. L’unico consiglio che ci sentiamo di dare riguarda il valore di un oggetto tessile: a nostro parere, come per tutti gli acquisti di elementi tessili, vale molto di più un oggetto di buona qualità – anche fatto a macchina – piuttosto che un prodotto di provenienza incerta e scarsa qualità – anche se fatto a mano – perché, non ci stancheremo mai di ripeterlo, la “manualità” non è di per sé indicatore di perizia e, come se non bastasse, esistono anche valori etici a cui riferirsi. La nostra non è una difesa ottusamente autarchica. Orientarsi sull’acquisto di un prodotto italiano e garantito, oltre che mettere al riparo un investimento notevole (si parla appunto, mediamente, per una tovaglia con pizzi e ricami fatti a mano di oltre mille euro come prezzo di partenza) anche di una scelta “sociale” responsabile: decine di migliaia di ricamatrici cinesi pagate pochi dollari al mese e messe in condizioni di lavoro senza nessuna regola sono già una motivazione sufficiente per non alimentare un mercato che è, obiettivamente, di puro sfruttamento, anche ignorandone l’aspetto qualitativo.

 

 

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