Tessile, l’UE impone la responsabilità ai produttori: senza svolta culturale il riciclo non basta

Il Parlamento europeo ha dato il via libera definitivo alla revisione della Direttiva Quadro sui Rifiuti, introducendo per tutti gli Stati membri l’obbligo di istituire sistemi di Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) per il settore tessile. Una decisione che punta a rendere il comparto della moda più circolare, spostando sui produttori i costi di raccolta, selezione e riciclo dei capi immessi sul mercato europeo, anche se realizzati da aziende con sede fuori dall’Unione.

La norma, pubblicata a inizio settembre, prevede che i governi nazionali abbiano 20 mesi per recepirla, e altri 30 mesi per avviare almeno un sistema collettivo di EPR. Rientrano nell’obbligo abbigliamento e accessori, calzature, biancheria e tende, con la possibilità di estendere il perimetro anche ai materassi. I contributi economici dei produttori potranno essere modulati in base a caratteristiche come durabilità e riciclabilità, per scoraggiare la fast e ultra-fast fashion.

I numeri spiegano l’urgenza: ogni anno l’UE genera circa 12,6 milioni di tonnellate di rifiuti tessili, di cui solo l’1% torna a nuova vita come materia prima. L’obiettivo è ridurre drasticamente l’impatto ambientale di un settore che, tra fibre sintetiche e sovrapproduzione, pesa sempre di più su discariche e inceneritori.

Dario Casalini, presidente Slow Fiber

Ma per chi da anni promuove una filiera più sostenibile, la direttiva, pur importante, non basta. Slow Fiber, rete di imprese italiane ispirata ai valori di Slow Food, plaude al principio ma avverte: “Senza un ripensamento radicale dei volumi di produzione e consumo, rischiamo di affrontare solo gli effetti e non le cause del problema”. Per il presidente Dario Casalini la vera priorità è “produrre meno rifiuti”, incoraggiando abitudini di acquisto che privilegino qualità e durata dei capi.

Slow Fiber chiede anche che i contributi EPR siano differenziati: “Una maglietta in poliestere e una in cotone organico non possono costare lo stesso. Servono criteri che premino le aziende virtuose”. E mette in guardia dal “dumping ambientale”: spedire scarti tessili verso Paesi in via di sviluppo significherebbe spostare, non risolvere, il problema.

La direttiva europea rappresenta dunque un passo avanti, ma il settore – produttori, consumatori e istituzioni – dovrà accompagnarla con un cambiamento culturale profondo: acquistare meno, riparare di più e allungare la vita dei capi. Solo così l’ambizione di un’economia davvero circolare potrà diventare realtà.

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