Un solista al servizio dell’orchestra

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La storia di Claudio Rigo non è solo l’evoluzione a tappe di un manager del tessile – dedicato al settore per vocazione e nascita – che dopo la “palestra” in aziende italiane varca i confini e diventa dirigente di un colosso internazionale del comparto come Jab Anstoetz. È una sorta di “parabola” che racconta di come il tessile italiano deve, per forza, guardare all’estero per sopravvivere, evolvere ed affermarsi. Ciò che conta è come riesce a volgere lo sguardo fuori confine: se ciò avviene con mentalità aperta e disponibile, si può senz’altro mantenere un ruolo da protagonista. Proprio come narra l’avventura del direttore commerciale di Jab Italia. “Da piccolo ho imparato tutto del tessile, era l’idea guida di mio padre e mio zio”. Così ha cominciato a raccontare il suo personale rapporto col mondo del tessuto Claudio Rigo, classe 1970, oggi direttore commerciale Italia di Jab Anstoetz, grande editore tessile tedesco. In effetti Rigo è figlio d’arte: suo nonno fondò un’azienda a Chieri – cuore del distretto tessile e tendaggio del torinese, – lui ha mosso i primi passi nello stabilimento di famiglia e, conclusi gli studi di amministrazione aziendale e marketing, dopo il 1992, ha cominciato a lavorare in azienda. La sua è quindi una storia di “genius loci”, come parecchie in Italia dalle parti dei distretti industriali composti – almeno un tempo – da una miriade di piccole e medie imprese di qualità.

Una sorta di vocazione che però non gli ha impedito di amare e suonare il pianoforte: una specie di sogno nel cassetto ma anche di “scuola d’armonia” utile, come vedremo, alla sua attuale occupazione. Dopo alcune esperienze presso aziende del settore in un altro distretto, quello brianzolo, tre anni fa è giunta la chiamata di Jab. Un’occasione che il giovane manager non si è lasciato scappare e che lo ha proiettato in una dimensione professionale completamente diversa, pur continuando a operare sul mercato italiano del tessile d’arredamento. L’occasione di ascoltare l’opinione di un figlio d’arte che ha vissuto in prima persona il modo di fare azienda degli imprenditori italiani e poi ha acquisito molta esperienza presso una delle più grandi realtà internazionali del comparto è davvero ghiotta e non volevamo perderla.

Lei è cresciuto nell’azienda tessile di famiglia, ha lavorato in imprese italiane per oltre dieci anni e da tre è manager della tedesca Jab. Quali sono le principali differenze tra l’impostazione delle industrie nazionali e di quelle estere?

Molte, e competono diversi ambiti. Prima vorrei però fare una premessa. La mia esperienza internazionale è legata a una sola azienda, quella in cui lavoro. Certo è un grande gruppo, con una visione assolutamente globale della decorazione, però è un’impresa sola. Può rappresentare un esempio, ma non necessariamente detta la regola. Detto questo posso certamente affermare che le differenze sono abbastanza radicali rispetto al mondo imprenditoriale italiano. Fin dal primo impatto in azienda me ne accorsi. Come arrivai mi fecero partecipare a un periodo di formazione di tre mesi. Ora può sembrare un training breve, ma è tutt’altro: tre mesi in cui hanno investito completamente nella mia preparazione, nell’approfondimento delle meccaniche aziendali e delle potenzialità dell’impresa. Il primo sintomo di un’organizzazione del lavoro che tende a escludere in ogni caso l’improvvisazione. E poi la qualità dei rapporti personali: franchezza e rispetto, piena possibilità di esprimere pareri e critiche senza temere nessun genere di ripercussioni. Anzi, la capacità analitica è un valore molto considerato. Sono questi valori, al di là del settore in cui operiamo, che qualificano e motivano la partecipazione a un team manageriale. Un aspetto da tenere presente è che non siamo di fronte a una multinazionale in mano a manager esterni, salvo alcune eccezioni, ma a un’azienda molto simile a tantissime situazioni del nostro paese: Jab è impresa familiare, i tre figli del fondatore sono tutt’ora ai vertici, e operano in armonia con il presidente, che è un manager olandese. Eppure l’approccio alla quotidianità d’impresa è molto diverso da quello imperante in Italia. Un atteggiamento di trasparenza e chiarezza che si basa sul continuo interscambio d’informazioni e d’esperienze: io, per esempio, sono in continuo movimento tra le filiali degli altri paesi, e non per visite lampo pressoché “istituzionali”, ma per cogliere e acquisire modalità e nozioni che possono anche non essere immediatamente applicabili al nostro complesso mercato, ma che rappresentano un bagaglio di conoscenze che prima o poi potrà essere utile. Questo atteggiamento di chiarezza e fiducia si riverbera assolutamente anche nel rapporto col cliente: non a caso noi abbiamo un tasso di fedeltà tra la nostra clientela, anche italiana, molto alto.

Lei ha parlato di informazioni, organizzazione, nessuna improvvisazione. Tutti aspetti sempre molto citati quando si parla d’imprese nordeuropee, però ha anche definito il nostro mercato “complesso”. In termini di autonomia come si muove un manager italiano, tra colleghi tedeschi, per gestire un mercato anomalo come il nostro?

Non è facilissimo spiegare come si riesca a raggiungere l’equilibrio tra programmazione e autonomia quando si gestisce la filiale localizzata di un gruppo internazionale. Io posso muovermi con grande libertà per affrontare questioni e problematiche tipiche della nostra realtà commerciale, ma tale autonomia si basa su due pilastri irrinunciabili: l’uniformità della collezioni Jab nel mondo e la funzionalità di un magazzino unico e centralizzato nella sede centrale del gruppo. Si parte da queste certezze, poi tutto il resto può essere gestito a seconda delle opportunità. È un modo di lavorare che, nei vent’anni di esperienza che ho acquisito, mi mette a mio agio e mi aiuta a svolgere il compito dirigenziale con grande serenità. In questo settore noi italiani siamo impareggiabili a creare, abbiamo un istinto innato per il gusto, ma dovremmo avere il coraggio e l’umiltà d’imparare dagli altri nel campo dell’efficienza e della programmazione. Sono oggi elementi indispensabili per competere a livello internazionale.

Ma insomma, da manager italiano cosa è più importante secondo lei per una moderna gestione di un’impresa tessile?

È sempre il mix di diverse componenti a determinare il successo di un’impresa, ma l’organizzazione e l’efficienza non sono caratteristiche dalle quali si può prescindere. Non dico che è finito il tempo della visione romantica dell’azienda, quella un po’ arruffona ma molto istintiva e creativa, però è innegabile che il successo globale di Jab non sarebbe possibile se non ci fosse una struttura organizzativa accurata, un sistema di responsabilizzazione che è condiviso dai più dei mille collaboratori nel mondo del gruppo, un magazzino centrale nel quale 600 addetti garantiscono la consegna in 24 ore di qualsiasi taglio richiesto. Certo, anche la creatività ha un peso specifico irrinunciabile, ma se riusciamo a comunicare in ogni nazione in cui siamo presenti la nostra strategia base (e anche il nostro stile) è merito del fatto che è un progetto fruibile per ciascun cliente indipendentemente da dimensioni e distanze. Quindi alla base c’è l’efficienza.

Alla luce della sua esperienza come è cambiato il mercato italiano negli ultimi anni?

In peggio, sicuramente. È più difficile lavorare rispetto al tempo in cui ho cominciato e non si tratta solo di disponibilità economica dei consumatori e di consumi rallentati. La nostra clientela si è parcellizzata, suddivisa in mille rivoli diversi, ha smarrito spesso la personalità. In questo sta l’anomalia del nostro Paese. Manca la figura di riferimento del designer d’interni e la decorazione viene gestita come un aspetto sovente secondario del progetto casa. Nonostante ciò la strategia di Jab è di stare a fianco dello showroom come cliente privilegiato, tuttavia mi rendo conto che è operazione difficile. Questa filiale ha una lunga storia – nel 2013 compirà quarant’anni, essendo nata nel 1973 – e di esperienza ne ha acquisita molta, eppure oggi siamo in una situazione la cui complessità appare non momentanea o tipicamente ciclica. È strutturale: probabilmente imporrà un’evoluzione rapida del sistema distributivo verso nuovi modelli sia nel rapporto tra punto di vendita e fornitore, sia tra punto di vendita e utente finale.

Argomento scottante. Si spieghi meglio…

Voglio dire che in tutta onestà credo che il negozio di tessuti e basta, come tale, non abbia più l’appeal necessario ad attrarre clientela. È un problema di visione e di stile di consumo cambiato, e comunque non è un problema solo italiano. Non a caso Jab Anstoetz non si propone già da tempo solo come editore tessile tout court, ma come partner per l’intero universo della decorazione. Universo che contiene il tessuto, la tenda d’interni e quella tecnica, gli accessori, le carte da parati, il tappeto anche fatto e rifinito a mano, la moquette e poi i divani e gli elementi d’arredo. Insomma ci sforziamo di offrire una completezza di offerta di servizio tale da poter essere individuati come partner preferenziali per il punto di vendita. Questa è una strategia che nasce dalla constatazione che se il consumatore pretende dal negoziante una visione d’insieme della decorazione – e quindi la capacità di aggregare e coordinare diverse tipologie di prodotto – il negoziante aspira a semplificare il proprio parco fornitore proprio in favore di chi è in grado di facilitargli la scelta nell’aggregazione di diversi elementi d’arredo. Si passerà dunque da un’impostazione orizzontale dell’offerta – tanti fornitori della stessa tipologia merceologica – a una più verticale – pochi fornitori con una profonda diversificazione di linee prodotto sovente coordinabili fra loro.- Ecco, questa evoluzione è già iniziata e, causa crisi contingente, probabilmente accelererà.

In tutto questo il vostro marchio è conosciuto in ogni nazione con lo stesso grado di diffusione oppure ci sono paesi dove è più o meno noto?

Il problema della diffusione del marchio non è problematica solo italiana, anche se in alcune realtà siamo più avanti nel dare soluzione a tale aspetto. Non voglio parlare di pubblico: in questo caso credo che qualsiasi strategia che puntasse al consumatore come obiettivo sarebbe impossibile e troppo costosa. Invece è molto importante sostenere e diffondere la conoscenza presso il nostro cliente. In Francia e in Gran Bretagna abbiamo aperto delle “House of Jab” che sono veri e propri luoghi di lavoro per professionisti piuttosto che semplici showroom. Ci stiamo pensando anche per l’Italia anche se da noi l’assenza di una figura di riferimento autentica e definita come l’interior decorator non facilita le cose.

Sia sincero: da manager italiano le piacerebbe tornare a lavorare per un’impresa italiana?

Ma io lavoro in Italia. Le faccio un esempio pescando nella mia passione, il pianoforte. Provo lo stesso piacere nel suonare le “Consolazioni” di Litz, “Loves you Porgy” di Gershwin piuttosto che un brano di Billy Joel. Tre autori e tre generi diversi, tutti emozionanti. La cosa importante è suonare bene, e amare la musica. Ecco io sono nella stessa situazione: sono in un’ottima orchestra, ho il mio ruolo di solista e mi soddisfa a pieno; il pubblico è quello che prediligo, dunque perché dovrei aver voglia di cambiare.

 

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