Meno produzione, più valorizzazione

di Sergio Coccia

I consumi calano a una media dell’1,2% annuo nel retail (un dato “buonista” probabilmente molto ammorbidito rispetto alla realtà on street). In questa situazione si allarga a vista d’occhio la forbice tra le richieste della distribuzione (sempre più affamata di novità da proporre al consumo, in cerca di stimoli e sollecitazioni) e le resistenze della produzione che deve far quadrare i conti e non ha molta voglia d’investire. In realtà è una polemica antica: da sempre i primi chiedono un maggiore impegno nella presentazione di novità, e le seconde spingono invece per una razionalizzazione delle collezioni e una rarefazione ordinata delle presentazioni, ogni giorno che passa più costose e impegnative. Dove sta la ragione? Naturalmente non c’è una risposta univoca e definitiva, ma vogliamo evitare il salomonico “la verità sta nel mezzo”, per sbilanciarci invece nel descrivere una posizione definita, seppur il più razionale possibile.

Partiamo da un paio di presupposti conosciuti: la biancheria per la casa, allo stato attuale, non è un bene indispensabile ed è un complesso di prodotti quasi saturo (di biancheria per la casa qualsiasi famiglia ne ha pieni gli armadi), dunque, escluso l’asfittico mercato di sostituzione, si tratta di merceologie che possono tranquillamente essere cancellate dalla lista di beni il cui acquisto è irrinunciabile.

La spesa può essere quindi sollecitata solo di fronte a una intensa campagna motivazionale: ecco perché la maggior parte dei dettaglianti chiede con ansia un continuo flusso di novità. È la strategia giusta? In questa fase, a mio modesto parere, no. La biancheria per la casa è una classe merceologica a basso contenuto d’innovazione – diciamoci la verità – quindi le “novità” si risolvono la maggior parte delle volte in qualche disegno diverso, in una cartella colori modificata e, in rari casi, in proposte materiche diversificate.

La cartina di tornasole di tale tesi è che nel momento in cui vere novità si sono affacciate all’orizzonte hanno avuto successi incredibili di vendita (leggi lenzuola a stampa fotografica, copridivano o accappatoi in microfibra, tanto per fare un po’ di esempi). Ma il contenuto moda di questo mondo – checché se ne dica – è ancora molto leggero e assolutamente non sufficiente a giustificare una rotazione rapida dei contenuti di stile e stagionalità nell’immaginario collettivo. Se succedesse ciò che avviene nell’abbigliamento, saremmo a scrivere di ben altro.

Quindi che serve rimpinzare il mercato di continue presunte novità, alle quali il consumatore è ben poco attento? Si creano solo difficoltà, investimenti esosi a ritorno difficile e nessun incremento delle opportunità di vendita. Sarebbe molto meglio, proprio in questa fase, dirottare gli investimenti in veri supporti e programmi di promozione della merceologia, soprattutto presso il punto di vendita.

Perché il problema nei confronti del consumatore rimane lo stesso: convincerlo a comprare biancheria in generale e non la semplice “novità”. Insomma riavvicinare il cliente finale alla categoria di prodotto di cui parliamo è un’impresa che si risolve spiegandogli i valori di prodotti garantiti, di performance migliorate, di garanzie di salubrità, di tenuta alla manutenzione, eccetera, eccetera, e non certo cercando solo di rifilargli quel nuovo colore che non sembra indispensabile a nessuno, dettagliante per primo. Insomma meno produzione e più promozione.

Ci vuole coraggio per andare da uno specialista e dirgli che le nuove collezioni sono “solo” magari due, e deve avere coraggio il dettagliante se vuole impostare le sue strategie su un programma di divulgazione e spiegazione e non solo su esposizione e vetrine.

Tuttavia solo la (ri)valorizzazione di un prodotto a oggi svalutato, come quello di biancheria per la casa, può dare qualche speranza in una ripartenza dei consumi.

Ci vuole coraggio.

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