
Si chiama Alberto Paccanelli ed è uno dei manager poco più che cinquantenni più noti del panorama tessile d’arredamento italiano. La sua storia professionale è scandita dai maggiori nomi dell’industria manifatturiera nazionale del comparto: dagli esordi nel Tappetificio Radici, passando dal Linificio e Canapificio Nazionale, fino alla compartecipazione e alla direzione nel Gruppo Martinelli Ginetto Spa. Ma la sua esperienza non è solo italiana: dal 2011 è presidente di Euratex, associazione degli industriali europei tessili. Il suo è un punto di vista esperto e privilegiato, che condivide con noi in questa intervista.
Troppo spesso, parlando di filiera e d’industria tessile, si guarda solo all’aspetto eclatante, alle mille luci delle griffe, alla ribalta delle sfilate. Importantissime, per carità. Fonti di successo, di lustro internazionale e di fatturati a molte cifre, certamente. Però, al contempo, si tende a dare per defunta o in stato comatoso la produzione e la manifattura di comparto nel nostro paese. La teoria è sempre la solita: “l’industria tessile è segmento maturo, di competenza delle economie in sviluppo e non più interessante per nazioni affermate e appartenenti al Primo Mondo”. Peccato che si dimentichi quanto valore e importanza ha tale comparto industriale ancora per l’Europa e l’Italia in particolare e, fatto da non sottovalutare, quante competenze esprime a livello manageriale il nostro Paese nel settore tessile-abbigliamento-moda. Non è un caso quindi che per il secondo mandato consecutivo un italiano sia stato eletto alla carica di presidente di Euratex, ovvero della massima istituzione rappresentativa degli imprenditori tessili europei. Si tratta di Alberto Paccanelli, dal 2007 amministratore delegato e socio del gruppo Martinelli Ginetto, una delle realtà più solide del tessile d’arredamento italiano. Ora, il fatto che gli imprenditori europei affidino a un italiano, e segnatamente a un manager del tessile d’arredamento, la guida della loro associazione indica evidentemente che il ruolo della manifattura nazionale non è proprio secondario.
Abbiamo quindi colto l’occasione per intervistare Alberto Paccanelli, rendendolo protagonista della nostra rubrica “il personaggio” nella sua duplice veste d’imprenditore italiano di successo e di osservatore delle dinamiche europee e mondiali del comparto. Un osservatore a dir poco autorevole: a volersi soffermare sui passaggi del suo vissuto professionale si potrebbero riempire tutti gli spazi di questo servizio. Basti dire che dopo la laurea in economia all’Università di Bergamo, il debutto nel mondo del lavoro con il Tappetificio Radici come direttore della sede inglese e una decina d’anni di attività nel campo della consulenza strategica e delle acquisizioni (tra cui quattro anni di lavoro a Los Angeles, negli States), il suo percorso è stato caratterizzato da un’instancabile crescita manageriale che l’ha portato a essere, già nel 2000, amministratore delegato del Linificio e Canapificio Nazionale (Gruppo Marzotto) cioè uno dei più giovani manager d’alto livello italiani. Dal 2007 Paccanelli entra nel Gruppo Martinelli come socio e amministratore delegato, vivendo l’espansione di una delle società tessili italiane più apprezzate sul mercato internazionale. Dunque un personaggio che può incutere una qualche forma di soggezione, eppure il dialogo con lui è lineare e cristallino: chiare le sue posizioni sulla difesa della realtà industriale europea, chiari i suoi intenti in ordine allo sviluppo dell’impresa di cui è comproprietario. Ma ciò che più conforta è che di fronte a un’esperienza vastissima costruita nel confronto col “fratello maggiore” dell’abbigliamento, il nostro interlocutore non ha dubbi sul futuro del tessile d’arredamento italiano, a patto che si rispettino le caratteristiche e le peculiarità di un mondo manifatturiero che deve evolvere e prendere atto delle trasformazioni mondiali in essere.
Alberto Paccanelli, lei è stato recentemente rieletto per il secondo biennio consecutivo alla guida di Euratex. In quella istituzione si confronta quotidianamente con i grandi industriali del’abbigliamento, settore vicino ma anche distante anni luce dalla realtà del tessile d’arredamento. Secondo lei cosa può imparare il nostro comparto da questa sorta di fratello maggiore un po’ temuto e un po’ invidiato?
Rispetto a trent’anni fa il quadro mondiale è totalmente cambiato e quelle che potevano essere considerate delle assonanze – fatte le ovvie differenze dimensionali – tra i due settori oggi sono molto meno evidenti. A quei tempi chi aveva “il ferro”, cioè la manifattura, deteneva il pallino in mano, poi c’è stata la globalizzazione e tutto è cambiato. Le produzioni hanno preso il volo verso delocalizzazioni anche estreme, rapidamente il centro strategico per il comparto dell’abbigliamento si è spostato dalla “fare” al “vendere” e produzione e distribuzione si sono sempre più fuse in un unico progetto, intervenendo l’una verso l’altra e viceversa. Tutto questo ha riguardato la recente storia dell’abbigliamento. Ora si sta verificando una sorta di ritorno alle origini, o quantomeno un riavvicinamento alle produzioni in loco, motivato da un obiettivo riallineamento dei costi industriali e del lavoro. Tutto questo però ha come discrimine assoluto il riferimento a una merce dedicata al consumo finale e, oltretutto, di rapida rotazione. Teniamo presente è questo il fattore di grande differenza che rende distanti i due mondi: il destinatario finale del prodotto. Nel caso dell’abbigliamento è direttamente il consumatore, mentre per il tessuto d’arredo esiste un anello ulteriore della filiera che si frappone fra la produzione e il consumo, rendendo la prima pressoché invisibile all’utente. Questo determina una differenza sostanziale non solo nelle strategie ma anche nei tempi evolutivi dei due comparti.
Quindi, secondo lei c’è poco da condividere e poco da imparare…
C’è sicuramente molto da osservare, soprattutto dal punto di vista della distribuzione e della sua mutazione nel rapporto con il consumatore, ma soprattutto c’è un fattore molto importante da comprendere: riferendosi alla manifattura, qual è la collocazione della filiera italiana all’interno dell’economia globale. Qui ci sono senz’altro dei termini similari da esaminare. È indiscutibile che l’abbigliamento italiano, il Made in Italy come viene comunemente definito, negli ultimi anni ha abbandonato la fascia media e medio-bassa dell’offerta per collocarsi su target più alti, meno di massa ma a maggior valore aggiunto. Tale evoluzione non riguarda solo le griffe e le firme, ma anche la produzione di marca. Da questo punto di vista il percorso dell’arredamento tessile è molto simile. In fondo il nostro settore rappresenta una sorta di grande concentrazione dei migliori artigiani creativi del mondo e questo deve diventare sempre più il carattere di assoluta distinzione nei confronti della concorrenza internazionale. Deve essere il termine guida nella progettazione di qualsiasi strategia espansiva. Abbiamo tutti gli strumenti per eccellere in questo campo perché nessuno come noi italiani è capace di essere rapido, creativo e flessibile. Teniamo presente che ci sono caratteristiche molto specifiche per ogni paese europeo su come è stata affrontata l’evoluzione del comparto tessile: tedeschi e nord-europei in generali si sono orientati al tessile tecnico e stanno ottenendo ottimi risultati, i francesi si sono specializzati nelle acquisizioni di brand e nell’ottimizzazione di grandi catene distributive, gli spagnoli sono in grande sofferenza nel campo tessile e stanno perdendo importanti fette di mercato e i portoghesi giocano la loro partita su di noi proponendosi alle fasce medie con costi minori. A noi italiani quindi spetta di presidiare la fascia alta dell’offerta diventando sempre più riferimento per la qualità e l’esclusività delle nostro proposte creative unite a un servizio d’eccellenza.
Tutto condivisibile ma la realtà è che le aziende del comparto sono strangolate, come l’intera filiera produttiva italiana, e in più stiamo parlando di un settore che non promette volumi di fatturato giganteschi…
Andiamo con ordine. Ciò che le descrivevo prima è il piano ideale di collocazione del tessile d’arredamento italiano nel panorama mondiale. È chiaro che per realizzare un progetto del genere le aziende da sole non bastano, oltretutto stiamo parlando di un tessuto industriale fatto di medie imprese e non di giganti. Due sono le condizioni indispensabili che solo la politica deve risolvere: l’eccessiva tassazione dell’energia e la riduzione progressiva del cuneo fiscale sul costo del lavoro. Non c’è alternativa. Non mi piace lamentarmi, ma non posso esimermi da notare quanto gli ultimi anni di governo, indipendentemente dalle figure incaricate del ruolo, hanno visto una clamorosa assenza di politiche industriali e una particolare disattenzione proprio al nostro comparto. Dopo di che, però, le imprese devono mettersi in quest’ottica di ruolo, smettendola di rimpiangere volumi di produzione e facilità di business che facevano solo parte del passato remoto.
Lei prima accennava a una diversa evoluzione della globalizzazione e della forsennata delocalizzazione produttiva. Se le aziende italiane riescono a conquistare questa sorta di primato come artigiani d’eccellenza si potrà verificare una sorta di ritorno di quelle fette di produzione che hanno trasmigrato?
No, non credo. I cambiamenti del mercato mondiale coinvolgono anche un diverso approccio di consumo alla sfera del tessile, in particolare se ci riferiamo a quella della casa. Il problema non è riportare manifattura in Italia ma preservare e sviluppare quella esistente. Ciò può avvenire solo espandendo l’esportazione e il business internazionale. I consumi nel nostro paese non solo si sono inesorabilmente modificati ma con loro sono mutati anche i luoghi e le occasioni di acquisto. Pensiamo solo al fenomeno Zara Home e a come sta cambiando la tanto citata “shopping experience”.
Veniamo al Gruppo Martinelli, di cui lei è amministratore delegato e socio. Come state affrontando la necessità di essere riconosciuti come artigiani d’eccellenza nel mondo?
Come dicevo prima il tessile d’arredamento non ha come referente ultimo il consumatore finale ma, in ogni caso, deve farsi conoscere e riconoscere dai grandi influenzatori d’acquisto del mondo, in particolar modo architetti d’interni e arredatori. È un tassello evolutivo indispensabile che non va a ledere nulla o a mutare l’essenza industriale del Gruppo. La nostra impresa continua a fare meglio quello che già sa far bene, in un’ottica di strettissima collaborazione, direi di partnership, con la clientela mondiale dell’editoria tessile. Ma ciascuna impresa deve ampliare il proprio raggio d’azione per crescere. Il debutto del progetto Kohro, un marchio che stiamo lanciando proprio in questo periodo, nasce con questo intento. Kohro si presenta e si configura come brand di editoria e produzione italiana di tessuti per arredamento in grande altezza, capace di coniugare design, artigianalità, tecnologia e servizio di altissimo livello. La storia industriale che esibisce è quella di uno dei massimi distretti industriali tessili – quello della Val Seriana - grazie al quale nasce un’estesa collezione forte della profonda esperienza manifatturiera maturata in oltre sessant'anni dal Gruppo di cui Kohro fa parte. Il brand non ha solo tanto prodotto. Si propone con un altro importante vantaggio competitivo: l’affidabilità e la garanzia di continuità qualitativa derivante da un pieno controllo di una filiera tessile che da anni ha già dimostrato la sua eccellenza.
Dunque mi faccia capire: da produttori vi trasformate in editori e distributori?
Ripeto. Il profilo industriale del gruppo Martinelli Ginetto non cambia assolutamente e non abbiamo alcuna intenzione di fare confusioni. Anzi. Proprio l’essere un gruppo industriale di alte capacità produttive, creative e di servizio ci permette di declinare le varie divisioni senza creare sovrapposizioni o rendere meno efficaci le politiche di esclusiva e di diffusione. È forse l’aspetto sul quale ci siamo più concentrati nella progettazione di Kohro: evitare qualsiasi rischio di rendere meno garantito ed efficiente il servizio che rendiamo alla nostra clientela. L’inclinazione di mercato della nuova iniziativa è mirata a un potenziamento rivolto in particolare al mondo della biancheria della casa. Kohro non è l’evoluzione del Gruppo, è una realtà satellite che si affaccia sul mercato per rispondere a un’esigenza particolare. Fa un altro lavoro e ha un’altra mission: diventare un brand riconoscibile e conosciuto in ogni parte del mondo nel segmento dell'arredo. Per fare ciò si basa sul grande vantaggio di avere alle spalle un produttore che opera su una filiera completa che va dalla filatura, alla tessitura, alla nobilitazione del tessuto, alla stampa, fino, volendo, al prodotto confezionato. Tutto questo attraverso sistemi di produzione e logistica evoluti ed efficienti capaci di valorizzare la verticalizzazione del processo produttivo, con benefici tangibili sul fronte della qualità e della tempistica. Questo si concretizza in un’offerta direi senza eguali che spazia in ogni possibile applicazione tessile nel residenziale e nel contract. Tutto questo non significa che cambiamo mestiere ma ampliamo, attraverso una divisione creata ad hoc e un brand diffuso in tutto il mondo – abbiamo partecipato anche al recente Salone del Mobile per raggiungere la massima visibilità possibile, - le nostre possibilità operative e di business. In fondo non è altro che la messa in atto delle strategie di cui parlavamo prima: eccellere nella qualità, nel servizio e nella creatività, partendo dall’esaltazione della storia manifatturiera che caratterizza l’Italia del tessile.