Homewear e biancheria per la casa, connubio vantaggioso

Un settore importante, molto vicino alla moda e quindi portatore di un’ottima capacità di presa sull’immaginario femminile. Intimo, homewear e beachwear condividono il pubblico in molti negozi di biancheria per la casa e hanno alcune tradizioni comuni nella storia del corredo. A raccontarci presente e futuro di questo comparto, anche in relazione alla sua contiguità distributiva con il nostro segmento, c’è Gianni Carletto, presidente del Consorzio Italian Lingerie Export al quale aderiscono oltre venti aziende fra le più conosciute del segmento.

In principio fu il corredo. Mamme giudiziose e previdenti varcavano la soglia dei negozi di biancheria per la casa componendo il corredo per la figlia, scegliendo tra lenzuola di lino, spugne ricamate e sontuosi copriletto, a cui aggiungevano poi sottovesti e lingerie notte morbide e seducenti. Era così nel secolo scorso, quando “naturalmente”, e soprattutto nel nostro Sud, il negozio specializzato di biancheria era anche il luogo eletto d’acquisto per l’intimo e la lingerie. Poi tutto è stato travolto da modernità, crisi, nuovi modelli di consumo, nuove superfici di vendita. Però una certa quota d’eredità si è mantenuta e ancora oggi il segmento dell’intimo e della lingerie mantiene una sua presenza “contigua” in parecchi negozi specializzati del nostro comparto. Non si può certo ignorare che questo aggregato merceologico abbia un suo profilo di reale interesse per la consumatrice – e in misura minore anche per il consumatore – sia per la sua efficacia come acquisto d’impulso, sia per l’attrazione rappresentata dalla buona conoscenza della marca e delle griffe e dal richiamo di un alfabeto comunicativo molto basato sull’immagine e sull’identificazione. Indossare un completo intimo è un fattore di piacere personale e poi di meccanica seduttiva, tutte componenti di richiamo all’acquisto per le quali il tessile casa deve ancora compiere un balzo uguale più o meno alla distanza tra la Terra e il Sole.

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Alcuni momenti della sfilata alla scorsa edizione di Immagine Italia & Co. di Firenze

 

Gianni Carletto Presidente del Consorzio Italian Lingerie Export

Ergo, avere nel proprio dettaglio uno spazio dedicato all’intimo e alla lingerie può davvero rappresentare un fattore moltiplicativo del traffico in negozio e anche un valido supporto “di cassa” al fatturato complessivo dell’esercizio commerciale. È però un segmento merceologico in forte evoluzione: contenuti moda in rapida trasformazione, presenza di catene e grandi superfici quasi dominanti, faticosa – anche se indispensabile – contiguità col mondo della moda e con le sue turbinanti cadenze. Insomma un comparto ben lontano dal sonnacchioso e lentissimo tessile per la casa. Per conoscere un po’ la situazione del settore, soprattutto in relazione con il nostro comparto, abbiamo interpellato Gianni Carletto, titolare di Lisanza e presidente – recentemente rieletto per il secondo mandato - del Consorzio Italian Lingerie Export, l’unica entità consortile che raccoglie oltre una ventina di aziende italiane, supportandole nell’attività promozionale e fieristica e nell’esplorazione dei vari mercati dell’export, vera frontiera per il futuro di questa importante parte di filiera tessile italiana.

Dott. Carletto, il mondo dell’intimo e della lingerie e quello della biancheria per la casa si coniugano storicamente nella distribuzione specializzata del tessile indipendente soprattutto nel nostro Sud: è ancora una forma di collaborazione importante per voi nel panorama distributivo nazionale? Rappresenta numeri e volumi significativi?

Partiamo dal presupposto che il nostro comparto vive una dimensione distributiva molto differenziata. Fino ad alcune decine di anni fa il dettaglio indipendente era assolutamente dominante e la sua declinazione era molto articolata: spazi di vendita anche microscopici e in alcuni casi aree all’interno di altri dettagli specializzati come appunto quelli di biancheria per la casa. Era il periodo dell’epopea del corredo e, non dimentichiamocelo perché ancora oggi ha il suo valore, anche quello del periodo di maternità. Poi è cambiato tutto con l’arrivo delle catene monomarca e delle grandi superfici di vendita. Negozi ampi e spaziosi, prezzi abbordabili e sistema di comunicazione incredibilmente ringiovaniti hanno rapidamente mutato l’approccio di consumo e anche abbassato la percezione qualitativa da parte, soprattutto, del target più giovane di acquisto. Questa evoluzione ha ridotto progressivamente il peso del dettaglio indipendente e, in ovvia proporzione, anche di quello “contiguo”, senza tuttavia cancellarlo. Per le marche che fanno parte della nostra associazione, cioè brand che propongono il Made in Italy su fasce di consumo medio alte e alte, il negozio specializzato è ancora il riferimento principale e quindi anche il biancherista mantiene una sua importanza. Possiamo affermare con una certa precisione che il 10/15% del nostro fatturato viene ancora dalla presenza delle nostre collezioni entro i punto di vendita di biancheria per la casa nel Sud, mentre nelle altre aree della nazione siamo di fronte a una presenza più rarefatta. Non sono quindi numeri da ignorare, anche se l’evoluzione del settore e la crisi dei consumi ha un po’ indebolito tale forma di collaborazione.

Parlare genericamente di “lingerie” non spiega certo un settore complesso entro il quale ci sono varie classi merceologiche con approcci molto diversi fra loro: corsetteria, lingerie notte, pigiameria, eccetera. Ci aiuta a fare un po’ di chiarezza?

È vero, il nostro è un settore molto complesso e con dinamiche molto diverse fra loro. Per questo va affrontato con attenzione e con la giusta preparazione. Ci sono ambiti decisamente molto vicino al mondo della moda, addirittura alcuni che hanno superato il guado dell’abbigliamento e oggi sono complementi che s’indossano anche all’esterno, per esempio quella che chiamiamo “lingerie giorno” o outwear, nella quale c’è ancora una forte componente di maglieria e le cui collezioni sono ormai veri e propri complementi d’abbigliamento. Per non parlare poi del beachwear, per il quale il coordinato “fuori acqua” è diventato un modello che detta le regole dell’assonanza con la moda e del coordinato da esibire. Per il negozio di biancheria, invece, credo che sia ancora preponderante l’ambito dell’homewear e della pigiameria, perché queste classi merceologiche sono istintivamente vissute come più vicine al tessile casa. Pigiami e camicie da notte mantengono una buona capacità di suscitare l’acquisto d’impulso e di piacere, anche se non nascondo la difficoltà a dare valore percepito alla qualità delle collezione proposte dal negoziante indipendente. Per la corsetteria il ragionamento si fa più complesso: c’è un’area di consumo di sostituzione che si fa poco attrarre da griffe e firme e, purtroppo, si muove solo sulla discriminante del fattore prezzo, ma resta un buon pubblico che apprezza la qualità per tale classe di intimo e quindi è quella su cui il negoziante indipendente deve puntare. Il problema è che per soddisfare questo particolare target di clientela è necessario un grado di preparazione e conoscenze piuttosto profondo – proprio perché cerca qualità e valore – e non sempre queste caratteristiche sono rintracciabili nel punto di vendita.

Si può definire il profilo della consumatrice che frequenta il negozio specializzato e quindi anche l’area specializzata dentro il negozio di biancheria?

Discorso non facile, ma possiamo provarci, pur chiarendo che siamo di fronte a una estrema semplificazione. Diciamo che i consumi di intimo e lingerie ormai sono abbastanza identificabili nei percorsi di acquisto per fasce di età. La consumatrice giovane si muove verso i negozi di catena perché trova una sintonia particolare con il linguaggio che essi esprimono e ha una percezione del valore del prodotto perfettamente allineata alla classe di prezzi che in queste catene ritrova. Quando si passa alla categoria delle trenta/quarantacinquenni la sensibilità aumenta, il piacere di piacersi anche e, ove sia possibile rintracciare una discreta capacità di spesa, il negozio indipendente diventa il riferimento perché proprio nel rapporto dialettico con il negoziante – in opposizione al libero servizio – si rintraccia quel quid di fiducia e garanzia che il giovane normalmente non considera. E non dimentichiamo che proprio verso questa fascia d’età c’è la maggiore capacità di presa del fattore firma o brand. Qui si deve aprire una piccola parentesi: il nostro è un settore dove c’è una buona conoscenza del marchio presso il consumatore finale. I brand, grazie anche ai notevoli investimenti pubblicitari del passato (oggi forzatamente più oculati e ridotti), sono noti e la riconoscibilità è in qualche modo alimentata anche dalla presenza delle griffe e delle licenze, anche se non credo che sia quella la strada del futuro. Un’attività collaterale di richiamo delle collezioni su licenza delle maison sartoriali c’è, ma alla lunga conta di più il brand esperto e specializzato. Chiusa la parentesi torniamo al nostro schema di consumo: andiamo perciò nelle fasce d’età mature e allora il bisogno di specializzazione è ancora più profondo e lo spazio di vendita a questo punto deve essere proprio di tradizione o etichettato come di grande esperienza. Fin qui per la donna. L’uomo, invece, è un soggetto con comportamenti d’acquisto ancora difficile da interpretare anche se qualche segnale lo abbiamo e, almeno in una fascia di consumo con una certa capacità economica, lo troviamo a preferire lo spazio di vendita specializzato e indipendente.

Come vede il futuro per il vostro settore?

Faccio riferimento alla classe d’aziende che fa parte del Consorzio e quindi anche alla mia impresa. Credo che l’incremento dell’attività esportativa sia la vera sfida per il futuro, proprio perché all’estero la considerazione per le collezioni d’intimo e lingerie italiane è già solida e una maggior vicinanza con la sfera della moda non può che migliorare il business complessivo. Ma esaltare i contenuti moda delle nostre collezioni è un obiettivo strategico indipendente dall’esportazione, poiché significa uscire dalle strettoie di una vestibilità ridotta e di una percezione come “abbigliamento di serie B”, che in questi anni ci ha limitato. Poi ci sono gli obiettivi forse meno strategici ma non per questo meno importanti. Fra questi mi sento di citare per tutti la necessità di destagionalizzare maggiormente le nostre collezioni: teniamo presente che, per definizione, beachwear e fuori acqua sono segmenti fortemente stagionali, la sfida è quindi dare una continuità d’interesse strutturando le collezioni in modo che possano essere utilizzate in diversi momenti. E quindi torniamo alla maggior sintonia con i contenuti moda. Tralascio le indicazioni su stile e ricerca sui materiali: soprattutto per le aziende di fascia medio alta sono elementi indispensabili e imprescindibili.

Considerazioni finali: c’è ancora spazio per l’intimo e la lingerie nei negozi di biancheria per la casa e ancora, consiglierebbe a un dettagliante del nostro comparto di allargare il suo mix d’offerta con collezioni del vostro mondo?

Partendo dal presupposto ottimista che nulla scompare ma tutto si trasforma, direi che spazio ce n’è senz’altro. Inoltre la fusione tra circuiti diversi di offerta può sempre creare incontri inaspettati e business interessanti. Quindi non sono pessimista. Senza buttare cifre al vento posso però dire che la parte di aziende della nostra classe di riferimento vende al pubblico per grossomodo un miliardo di euro all’anno. Ho parlato prima di un 10/15% realizzato nel dettaglio di biancheria, quindi è un business che non si può ignorare e che credo abbia un futuro a patto che venga affrontato dai dettaglianti con la giusta preparazione e competenza, altrimenti il consumatore si rivolge immediatamente ad altri lidi. Se consiglierei a un dettagliante di allargare il mix d’offerta verso di noi? Sì, se però fosse la decisione finale dopo un attento percorso di analisi della propria clientela, del proprio territorio e dei target di consumo di riferimento. Ma questi sono comportamenti d’analisi che valgono come pilastri per qualsiasi attività commerciale voglia partire o trasformarsi. Intimo e biancheria per la casa non sono risolutivi a vicenda ma insieme possono sviluppare un buon grado di traffico nel punto di vendita e offrire una pluralità di offerta comoda e divertente per la consumatrice.   (Sergio Coccia)

 

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