Energia e glamour alla conquista dei mercati

Si chiama Sabrina Tonti ed è un vulcano di idee e progetti che prendono forma sotto i brand Pepita e Tatà del Gruppo Intimo Italiano, l’azienda pistoiese di famiglia che guida da molti anni. Homewear ed easywear sono i segmenti in cui opera, ma la sua sfida è portare sul mercato globale una vera e propria “Pepita way of life”. Ci sta riuscendo.

Un’iniezione di vitalità. È l’unica definizione possibile per la lunga chiacchierata al telefono con Sabrina Tonti, protagonista del “personaggio” di questo mese. Si è trattato di un vero e proprio tuffo in una dimensione comunicativa spensierata e turbinante, nella quale abbiamo onestamente faticato a star dietro a tutte le informazioni che si sono susseguite senza sosta sul nostro block notes. La personalità dell’imprenditrice toscana, titolare del Gruppo Intimo Italiano, letteralmente esplode al telefono raccontando le sue esperienze professionali con una passione che è troppo vicina alla gioia per essere solo un atteggiamento o una posa. Ci ha colpito davvero, lo confessiamo. Probabilmente i settori della lingerie e dell’homewear, ambiti nei quali, con i marchi Pepita e Tatà, si svolge l’avventura imprenditoriale della nostra intervistata, sono già di natura più vitali della tradizionale biancheria per la casa. E sicuramente le opportunità di espansione internazionale di un settore sempre più vicino alla moda e all’abbigliamento aiutano altresì, ma ciò non basta a spiegare l’entusiasmo con cui Sabrina Tonti affronta la miriade d’iniziative che snocciola senza pausa durante il nostro appuntamento telefonico. Lei si definisce, innanzitutto, una “comunicatrice” e noi concordiamo, nel senso che comunica ottimismo e volontà di ferro, oltre che notizie e iniziative. Il suo porsi nei confronti del lavoro appare totalizzante, magari un po’ tirannico, ma capace d’infondere quel “quid” d’esaltazione che poi traspare in ciascuna iniziativa da lei curata. Sarà un caso, ma la sua esperienza comincia a New York, nella seconda metà degli anni 80 (lei è classe 1965), dove lei, toscana di nascita, si laurea in “business administration” e, contemporaneamente, lavora in un grande negozio d’abbigliamento. Dello spirito americano assorbe tutto il possibile, portando in Italia, ed entrando nell’azienda fondata dai genitori, idee inusitatamente chiare e una poderosa voglia di fare. Neanche un anno dopo l’ingresso in azienda crea la prima collezione Pepita di pigiameria e homewear, ancora oggi una delle sferzate più importanti allo stile e allo spirito del prodotto di abbigliamento in casa. Si potrebbe pensare che il suo ruolo si limiti a quello di una vivace stilista, ma non è così. Oggi parlare della sua azienda e dei suoi marchi significa inoltrarsi in una miriade d’iniziative, in Italia, all’estero, su internet, nel prodotto, nella formazione, nella presenza sui social network e nei punti di vendita da Forte dei Marmi a San Pietroburgo, passando per gli show room di Milano, di Mosca e di Shanghai. Insomma Sabrina Tonti appare come la personificazione di un mix perfetto tra la frizzante efficienza americana e lo spirito un po’ guascone, ma universalmente affascinante, dei toscani.

Lei alla fine degli anni 80 si è trovata di fronte alla scelta di rimanere a New York, assumendo il ruolo di giovanissima responsabile del punto vendita d’abbigliamento in cui lavorava, o di tornare in Italia ed entrare nell’azienda di famiglia. Mai pentita di aver optato per questa seconda soluzione?

Mai. Io sono fortunata nella vita e, sebbene la scelta di tornare in Italia sia stata determinata anche da un grave incidente che mi fermato per un lungo periodo di tempo, ho fatto esattamente quello che volevo fare. La mia prima fortuna è stata quella di avere dei genitori che credevano fermamente nelle mie capacità e hanno assecondato fin da subito le mie idee. La società italiana, in generale, non ha una grande fiducia nei giovani. Questo è l’errore più grosso che si può fare: io a venticinque anni ho avuto l’opportunità di creare un marchio e una collezione totalmente innovativi e a distanza di tanti anni vivo ancora con lo stesso spirito creativo di allora. Cosa si può desiderare di più? E poi l’esperienza americana me la porto dentro, è con me tutti i giorni e ispira il mio lavoro e la mia impostazione mentale.

Gruppo Intimo Italiano, l’azienda fondata dai suoi genitori, venne definita ai tempi la “regina delle vestaglie”, oggi i marchi Pepita e Tatà, sotto la sua guida, raccontano un “mood” assolutamente contiguo alla moda e all’abbigliamento, e per questo ottengono successo in tutto il mondo. Quanto è frutto del suo spirito yankee e quanto è, invece, legato al genius loci della toscanità tessile, se così possiamo definirla?

Non so definire quanto dell’uno e quanto dell’altro aspetto. Certamente la mia creatività, le mie azioni come imprenditrice sono una sorta di fusione dei due modi di concepire il lavoro e ciò che dobbiamo comunicare. Noi non dobbiamo vendere un prodotto, ma emozioni. Questa non è una frase pubblicitaria, è il senso della nostra attività. Dal progettare una collezione, ad aprire uno showroom o un negozio, fino a gestire un blog su internet, il senso del nostro agire è offrire alle clienti l’idea di una “Pepita life 1in Tuscany”. Un modo di creare partecipazione a una comunità. Facciamo un esempio: il successo – e le garantisco che è notevole – del nostro negozio di Forte dei Marmi sono fermamente convinta non è dovuto solo alla qualità dei prodotti. È l’ambiente, la capacità del luogo di accogliere, le luci, la leggibilità e la leggerezza dell’esposizione che, insieme, comunicano la nostra idea di “easywear”. E le clienti se ne accorgono subito. Tutto ciò è frutto americano o italiano? Non lo so. Non sono modesta e quindi dico che sono stata brava a interpretare i due modi d’essere e a trasmetterlo a tutte le mie collaboratrici.

Collezioni, negozi e show room all’estero, attenta e profonda comunicazione su internet. Quale di questi tre aspetti è più importante per dare successo a brand come i vostri, così borderline con l’abbigliamento?

Può sembrare una risposta pilatesca, ma dico che sono egualmente importanti e non possono che procedere di pari passo. Il fine comune di ciascun azione che abbiamo messo in campo – e il biennio che stiamo vivendo sarà strategico per noi – è dare visibilità a un’idea. Poi ci sono le strategie indispensabili per ottenere la linfa che sostiene questa idea, cioè buoni fatturati ed espansione. La crescita della presenza sui mercati esteri è ovviamente indispensabile: la Russia, con i negozi a San Pietroburgo e Mosca ci sta dando enormi soddisfazioni e l’esperienza dello show room collettivo a Shanghai è altrettanto positiva. Lo spazio a insegna proprietaria, Forte dei Marmi ce lo ha insegnato, è la via più immediata e importante per essere riconosciuti e apprezzati nel mondo e lei non ha idea di quanto all’estero noi italiani siamo considerati! Noi vendiamo moda, è inutile cavillare ancora sulla collocazione delle nostre collezioni, quindi è fondamentale l’immagine e l’impatto. È ovvio e scontato che alla base ci debbano essere belle e innovative collezioni, altrimenti alla forma non si dà sostanza. In azienda siamo in trenta – è una struttura quasi completamente femminile la nostra, – dieci di noi si dedicano alla creatività, una percentuale che spiega quanto sia importante la fantasia nel nostro lavoro. Brave, passionali e professionali, così dobbiamo essere. Senza nulla togliere ai maschi, noi donne siamo più capaci di fondere queste caratteristiche. Il negozio è la pietra angolare dello sviluppo di qualsiasi brand per il prossimo futuro, ma non voglio dare l’impressione che io creda solo all’insegna proprietaria come luogo di diffusione. Credo, invece, che ci siano veri margini di sviluppo anche per il negozio multimarca e ciò è dimostrato dalla nostra iniziativa “Pepita Academy”, un programma che svilupperemo con i nostri clienti dettaglianti per la formazione mirata alle nuove frontiere della distribuzione. Poi c’è il mondo del web e dei social network. Io sono una fan assoluta di Facebook, quindi non potevo che tenere in alta considerazione il “social”. Coinvolgere e condividere sono i pilastri del successo di un brand: la moda ce lo insegna. E noi ne abbiamo la dimostrazione con l’iniziativa 1Pepitablogger.com, un sito apposta creato per divertirsi, inventare ed esprimersi, con le nostre clienti o anche semplici “followers”. Uno spazio aperto dove invitiamo chiunque a raccontare e “giocare” con noi diventando le nostre protagoniste. Le ragazze che finora hanno aderito all’iniziativa hanno scelto in piena autonomia come vivere i nostri articoli e come rappresentarli. Ciascuna di loro ha una propria vita, idee, progetti e sentimenti, che hanno poco a che fare con i palcoscenici della moda, ma che sono invece fatti di quotidianità e vita vera, eppure esprimono autenticamente quello che ho già definito il “Pepita life”.

Il vostro settore vive una dimensione diversa di quello della biancheria per la casa. La presenza di catene di distribuzione fortissime è una realtà da cui non si può prescindere. Yamamay, Tezenis, Intimissimi, solo per fare alcuni nomi, sono corazzate da cui è difficile difendersi. Al di là dell’ovvia disponibilità di spesa, come si fa a convincere una giovane a comprare Pepita e non i capi ultrapubblicizzati di questi giganti?

Dobbiamo serenamente scegliere degli obiettivi e concentrarci su questi. Io non demonizzo queste realtà – anche se qualcosa si potrebbe dire sulla qualità delle materie e dei prodotti – anche perché il volume di comunicazione che mettono in campo, in qualche modo, è una forma di traino per chiunque ad acquistare nuovi capi da indossare. Semplicemente noi puntiamo a una figura femminile che non è la giovanissima, certamente più attirata da queste realtà. Per noi sono le donne giovani(li) dai trent’anni in su a essere le clienti migliori. Donne vitali e allegre, ironiche e aperte, un po’ Audrey Hepburn, un po’ Lolita, come le definiamo sul nostro sito. Certamente più sensibili a valori diversi dal semplice prezzo. Ecco perché insisto sul concetto di “Pepita life” e non di semplice collezioni. Questa e una strategia assolutamente globale, non solo italiana. È questa la donna che vogliamo conquistare a Milano, come a Mosca, come a Shanghai. E all’estero abbiamo anche il vantaggio del fascino di un Made in Italy molto apprezzato, un valore che estende la capacità attrattiva del brand verso gli altri profili delle consumatrici.

Rimaniamo in Italia. Il negozio di biancheria per la casa è sempre stato un luogo contiguo alle vendite delle collezioni di lingerie e pigiameria. Sovente sono la più importante integrazione del mix merceologico del punto di vendita. Voi dichiarate mille punti di vendita multimarca tra la vostra clientela, quindi immagino che fra questi ci siano parecchi biancheristi. Vede differenze tra la distribuzione specializzata vostra e quella della biancheria casa?

È indubbio che la distribuzione del comparto casa abbia bisogno di una salutare scossa innovativa. La vedo un po’ ferma e chiusa. Però non dobbiamo dimenticare che vendere tessile casa credo sia più difficile che vendere le nostre collezioni. Partiamo da un presupposto banale ma reale: un nostro capo – soprattutto quando inteso come homewear o easywear – s’indossa e si esibisce, il tessile casa no. La percezione del desiderio di mutare e innovare cambia radicalmente e nella scala dell’esperienza d’acquisto – soprattutto in tempi di crisi – e la biancheria è più facile da accantonare. Detto questo, però, credo che si dovrebbe puntare maggiormente all’appeal del negozio d’abbigliamento, copiando anche le loro esperienze. È quello che abbiamo fatto noi progettando i nostri punti di vendita, per rendere più divertente il tempo in negozio. Oggi mi sembra che lo spazio di biancheria per la casa sia molto lontano da ciò.

Un’ultima domanda. Lei in settimana è in azienda o in giro per il mondo. Sabato e domenica sta in negozio a Forte dei Marmi, eppure trova il tempo anche per “postare” le sue impressioni su una visita a Berlino… Quand’è che si riposa?

Qualcuno potrebbe pensare che io abbia sposato il lavoro e null’altro ma non è così. Ho una figlia di diciotto anni piena d’interessi e passioni, che è cresciuta avendomi ben al suo fianco. Noi donne siamo più brave a trovare gli spazi per fare ciò di cui siamo appassionate, e anche con poca fatica…

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