Il layout dice che negozio sei

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Uno store di Homes r Us, negli Emirati Arabi

Si parla sempre più spesso di brand identity nel campo del retail. Ma come si fa a costruire un’identità precisa dello store, una sua personalità in grado di diventare vero e proprio brand con una immagine riconoscibile e vincente? L’esperta in visual merchandising, giornalista e blogger Francesca Zorzetto ha affrontato questo argomento durante il workshop ‘Costruire la brand identity del punto vendita attraverso assortimento e layout’, organizzato da Casastile all’ultima edizione di Homi Milano.

C’è una premessa: il negozio fisico è in una posizione di vantaggio rispetto all’esperienza di acquisto online, perché consente di sfruttare l’impatto estetico e le emozioni suscitate dai cinque sensi, di trasformare il momento dell’acquisto in esperienze e forme di intrattenimento e di contare sulle possibilità di instaurare relazioni con le persone. Come spiega chiaramente Zorzetto, «investire nel negozio ha senso perché il negozio è il media più potente nei confronti del consumatore».

Il brand, primo mattone su cui costruire uno store di successo, si concepisce concentrandosi sul proprio mercato e sul target cui si vuole rivolgere, cercando di sviluppare servizi che ancora altri non offrono. Ma per definire il brand è necessario anche curare la forma e la sostanza dello store, ossia il layout con l’esposizione e la merceologia che in esso viene offerta.

Un punto vendita danese di Illums Bolighus, definito il ‘Moma del modern living’ dallo scrittore Temple Fielding nelgi anni 50. Gli spazi sono ampi, l’esposizione è essenziale per lasciare gli oggetti protagonisti.

Partiamo dal layout. È una definizione che si riferisce all’organizzazione funzionale della pianta dello store, che stabilisce i percorsi, le varie aree espositive (quella dedicata ai casalinghi, agli articoli per l’outdoor, ai complementi, ecc.) e le aree dedicate al servizio (ingresso, uscita, cassa) o agli eventi. Non bisogna dimenticare che il tipo di layout contribuisce al posizionamento dello store: per esempio, la presenza di spazi vuoti è associata a un negozio di fascia alta o di lusso, mentre al contrario l’affollamento di espositori e merce è tipico di una fascia più bassa.

«Il cliente vede un paesaggio: come un’animale in una foresta, capisce dove dirigersi e dove non andare – osserva Zorzetto -. Per questo i percorsi verso le aree espositive devono essere chiari; inoltre il layout deve saper mostrare tutta l’offerta e proporsi a guidare il cliente dove realmente si vuole che egli vada».

In sintesi, la progettazione del layout risponde a questi obiettivi: orientare il flusso dei clienti; aumentare la permanenza nel negozio (fatto che si traduce in un aumento degli acquisti e, dunque, del fatturato); facilitare il riordino e il controllo; rendere produttiva tutta la superficie di vendita; per ultimo, ma non ultimo, il layout contribuisce al posizionamento.

Se si individuano delle aree meno redditizie si possono applicare dei correttivi: il layout, infatti, non è statico, ma si può modificare perché ci si è resi conto che non è ‘performante’ o per dare un segnale di cambiamento.

Per disegnare un nuovo layout bisogna verificare il reale comportamento dei clienti e capire l’attrattività dei diversi reparti e la redditività delle categorie merceologiche esposte. «La teoria vorrebbe che si assegnasse a una categoria uno spazio pari al suo peso sul fatturato totale. Ad esempio, se la lista nozze vale il 40% delle vendite, ad essaandrà riservata una percentuale analoga dello spazio espositivo», dice Zorzetto.

Loft è uno store giapponese dotato
di un’alta densità espositiva che però
è compensata da ampi spazi per il
movimento e dalla presenza di buone
indicazioni per non perdersi nel grande
ambiente.

All’interno del layout un ruolo importante lo hanno le attrezzature. E qui arriva un consiglio da soppesare con attenzione: «A volte, togliere qualcosa dall’esposizione rende più piacevole l’esperienza e aiuta a vendere. L’esposizione che sposa la teoria del labirinto (nello stile di Ikea, per intenderci) può favorire la vendita d’impulso, ma spesso per vendere di più ci si riempie di prodotti che non hanno a che fare con la nostra identità. Per me è preferibile la teoria della semplificazione chene che razionalizza lo spazio e aumenta il comfort, con un focus particolare sulla percorribilità degli spazi».

Oltre alla quantità, attenzione poi alla qualità: per valorizzare il prodotto bisogna dare il giusto peso alle attrezzature, perché lo stesso prodotto presentato su elementi espositivi diversi ne cambia la percezione. Le soluzioni devono essere un elemento scenografico che comunichi l’identità dello store, e devono anche essere ergonomiche: alla cassa, ad esempio, va assegnato il giusto spazio. Inoltre, le attrezzature devono essere flessibili, per poter aggiungere o togliere elementi, ed essere facilmente riposizionabili. Non devono poi essere invasive, pena il rischio di ‘nascondere’ la merce. Per evitare la sensazione di soffocamento si può utilizzare in modo efficace la luce, e anche la temperatura ha la sua importanza.

Attenzione, perché la densità delle attrezzature è un elemento soggettivo ed emotivo, relativo al ‘percepito’ di ciascun cliente: le neuroscienze insegnano, per esempio, che le persone di sesso femminile hanno una visione più a 360° rispetto agli uomini, ma tendono aperdersi più facilmente nello spazio. Si dovrà tenere conto di queste differenze a seconda del target a cui ci si vuole rivolgere.

Alla base del posizionamento delle attrezzature c’è lo studio della cinestesi, ossia del movimento del corpo nello spazio, un set di teorie che, se ben messe in pratica, consentono di aumentare il comfort del cliente. La cinestesi condiziona la posizione degli arti, la tensione dei muscoli, l’equilibrio e, infine, la sensazione di dominio dello spazio o, al contrario, di spaesamento. Ma il layout della superficie e le attrezzature non sono tutto.

Bisogna pensare anche al layout merceologico, stabilendo la successione dei diversi reparti e il loro posizionamento relativo creando sequenze attraenti, funzionali (la cucina starà accanto alla tavola, che starà accanto al tessile e al complemento arredo del living, eccetera) e in sintonia con i comportamenti d’acquisto dei target. È fondamentale stabilire criteri di aggregazione della merceologia, mettendo vicine categorie affini oppure complementari (ad esempio, le fragranze per la casa con i prodotti per la cura della persona). L’aggregazione tra i prodotti si può anche basare sulla logica delle fasce di prezzo, o su quella classica per marca, oppure, ancora, sulle diverse occasioni di consumo (un esempio tipico è proprio la lista nozze). Ma c’è anche l’aggregazione basata sulla logica dello stile di vita, del target, del tema (come quello del naturale e del bio).

L’aggregazione tra categorie merceologiche è fondamentale per creare il brand (si pensi al concept store): l’importante è che risponda a logiche definite e comprensibili. Pianificando il posizionamento e l’aggregazione merceologica sarà anche possibile capire perché una categoria non ha venduto abbastanza e, come spiega Zorzetto «bisognerà chiedersi se l’esposizione è adeguata, se è in una posizione del negozio un po’ ‘infelice’, magari perché buio o freddo, e adottare le conseguenti azioni correttive».

GLI OBIETTIVI DI UN BUON LAYOUT

• orientare il flusso dei clienti

• facilitare il riordino e il controllo

• rendere produttiva tutta la superficie di vendita

• aumentare la permanenza nel punto vendita

• contribuire al posizionamento dello store

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