Progettare oggi: la parola ai designer

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«Siate umani, progettate per il mondo» questo era il consiglio che qualche anno fa Enzo Mari dava ai giovani designer. Un’indicazione chiara e semplice, che però non fornisce spiegazioni sulle caratteristiche del mondo per il quale i designer dovrebbero progettare. Tema complesso e affascinante, quello relativo al significato del progetto, continua ad animare accesi dibattiti tra gli addetti ai lavori che si interrogano su come riuscire a dar forma, attraverso le loro proposte, a una realtà come la nostra, sempre più “liquida” e
sfuggente.

Del   tema del progettare e delle problematiche a esso connesse, abbiamo voluto occuparci anche noi sentendo il parere di progettisti di varie generazioni e di Luciano Galimberti, il presidente dell’ADI. Da quell’osservatorio privilegiato sul mondo del progetto di qualità che è l’ADI, Luciano Galimberti vede convivere nel designer una componente insieme visionaria e concreta: «Non esiste futuro senza sperimentazione quotidiana del proprio futuro. Sembra un’ovvietà, ma spesso le consuetudini e un confortevole conformismo fanno dimenticare questa semplice considerazione. Il progettista che abdica a questo ruolo visionario e al contempo concreto perde funzione e senso. Gettarsi in avanti, rispettando quindi l’etimologia del termine progetto, direi sia l’unico modo per svolgere la funzione di designer».

Anche Giulio Iacchetti, tra i più raffinati interpreti dell’odierna progettazione Made in Italy, vede come connaturata alla sua professione la capacità di immaginare il futuro: «Noi
designer – ci dice infatti – siamo felicemente condannati a guardare avanti e a interpretare, con il nostro lavoro, i bisogni e gli aneliti delle persone che vivono intorno a noi. È vero che gli oggetti non sono in grado di cambiare le sorti del mondo, ma sicuramente sono in grado
di rendere la vita della gente più piacevole. Questo ho sempre presente quando svolgo la mia professione di progettista».

Agustina Bottoni, giovane designer argentina con base a Milano che ama connotare i suoi progetti (oggetti d’arredo, mobili e tessuti) con una spiccata componente estetica emozionale, riconosce la complessità del suo compito: «Il nostro presente è caratterizzato da importanti problematiche di varia natura, dai conflitti socioeconomici all’emergenza ambientale, che è improcrastinabile. E, tuttavia, so che il mio compito è quello di cercare di dar forma al futuro. Un compito che nasce dalla consapevolezza dell’impatto che i miei lavori possono avere nella vita delle persone. Non esiste un unico modo di progettare così come di vedere il futuro, tutto nasce dalla personalità e dalla sensibilità dei singoli designer, ma trovo che tutti i punti di vista siano ugualmente validi e degni di attenzione. Con i miei progetti penso di esprimere una visione tutto sommato positiva e ottimista del futuro, nonostante sia consapevole della complessità che esso porterà con sé».

Mario Scairato, che vive tra Paestum e Milano e che, nonostante la giovane età, ha già all’attivo collaborazioni con marchi importanti quali Alessi, Internoitaliano e Moleskine, sottoscrive appieno l’interpretazione del progetto basata sulle capacità “preveggenti” del progettista.

Lo stesso fa Alessandro Stabile, designer della nuova generazione, cofondatore del brand Have a Good Tie ed eletto uno dei dieci Top Young Italian Industrial Designers selezionati dall’Istituto Italiano di Cultura di New York nel 2013, che a quanto già osservato aggiunge: «Il mondo è così pieno di oggetti, tanti dei quali inutili o addirittura dannosi, che se produciamo nuovi prodotti dovrebbe essere solo perché aggiungono qualcosa di nuovo in termini di funzionalità, evoluzione  tecnologica, novità estetica o emozionale. Da ciò consegue che necessariamente il progetto deve implicare la creazione di  qualcosa di non ancora esistente che contribuisca a dar forma al futuro».

«Progettare – dice infine Marco Dessì, designer nato a Merano ma da anni residente a Vienna da dove collabora con importanti brand internazionali – è un lavoro che implica una dedizione totale. È un lavoro di ricerca sia che si tratti di inventare qualcosa di nuovo che di migliorare ciò che fa già parte della nostra vita».

IL TEMA PRIORITARIO DEL PROGETTO È L’UOMO E LA SUA CENTRALITÀ RISPETTO AL PROPRIO VIVERE IN QUESTO MONDO

Rispetto alle tematiche e alle sfide che oggi caratterizzano il design contemporaneo, Luciano Galimberti non ha dubbi: «Il tema prioritario resta a mio avviso uno: l’uomo e la sua centralità rispetto al proprio vivere in questo mondo, che a oggi resta l’unico che abbiamo a disposizione. Costruire uno sviluppo sostenibile e responsabile è un’opportunità prima che un dovere civile. In un mercato globale le responsabilità attorno a queste relazioni diventano certo più articolate, ma anche più interessanti in relazione a un loro miglioramento».

Diverse sono, per Giulio Iacchetti, le problematiche inerenti il progetto contemporaneo. «Oggi – afferma – sempre più spesso agli oggetti viene demandato il compito di veicolare emozioni. Superata la questione del rapporto forma-funzione, perché è dato per scontato che l’oggetto debba assolvere a determinate funzioni, viene privilegiata la sua parte emozionale. Perché questo avvenga è facile da spiegare: attraverso il lato formale-estetico di un oggetto raccontiamo chi siamo.

Miyagi Set, Hands on Design 2018 di Giulio Iacchetti

Gli oggetti parlano di noi, esprimono la nostra personalità. La grande diffusione oggettuale, a mio avviso, ha a che fare con questo bisogno di sentirsi rappresentati: sembra proprio che più oggetti possediamo meglio riusciamo a comunicare la nostra identità. A differenza di un tempo in cui erano pochi gli oggetti che ci connotavano, penso ad esempio all’automobile, oggi possiamo raccontarci anche attraverso un cavatappi o un accessorio qualsiasi da mettere in tavola. Nel mondo del design sta accadendo quanto da sempre avviene nel mondo della moda, dove per finalità simili utilizziamo gli abiti».

Tra gli altri temi che Iacchetti pone come centrali del progetto contemporaneo vi è quello ambientale: «È decisamente una problematica molto rilevante, ma per me non nuova visto che la realizzazione della posata multiuso Moscardino in mater B, una bioplastica ricavata dall’amido di mais completamente biodegradabile, risale al 2000. Certo oggi sui materiali ecosostenibili sono stati fatti importanti passi avanti, ed è per questo che insieme a un gruppo di colleghi stiamo pensando di dare nuova vita a Pandora Design e di continuare la ricerca interrotta anni fa. Sicuramente, con la messa al bando dell’uso indiscriminato della plastica, si apriranno nuovi interessanti scenari progettuali ai quali vorrei poter dare il mio contributo creativo».

Marco Dessì, in maniera originale, mette in relazione la componente affettiva tipica di determinati oggetti con il tema della loro durata: «Da un punto di vista generale posso dire che quello ambientale è un tema di fondamentale importanza, che dobbiamo tutti  affrontare prima che sia troppo tardi. L’idea di mantenere in futuro il nostro stile di vita attuale mi sembra comunque già un’utopia. Certo, qualcosa si sta già facendo, ma non abbastanza. Nei supermercati, ad esempio, si vendono numerosi prodotti bio, ma presentati al cliente ‘straimpacchettati’, e allora mi chiedo perché quelle aziende che propongono prodotti rispettosi dell’ambiente non si pongano il problema della confezione.

Grip di Marco Dessì per Lobmeyr

Quello che da un punto di vista generale il design dovrebbe fare è riuscire a proporre prodotti in grado di educare le persone in modo semplice e leggero e a sensibilizzarle nei confronti di un consumismo scriteriato. In quanto designer di mobili e oggetti penso di affrontare il tema della sostenibilità prestando la massima attenzione al valore dei miei progetti. In un’epoca come la nostra, dominata dalla filosofia dell’usa e getta, i miei sono progetti pensati per durare, per creare un legame affettivo ed emozionale talmente forte da decidere di tramandarli di generazione in generazione».

Mario Scairato pone l’accento su altre due tematiche, quella della flessibilità e della sensibilità: «Per un designer, la capacità di rispondere alle esigenze altrui è molto importante sia dal punto di vista tecnologico che tempistico. High-tech e velocità sono infatti le principali caratteristiche della nostra condizione attuale. Un altro aspetto che però va tenuto presente è quello relativo alla necessità di realizzare oggetti con un appeal emozionale. Mettere del sentimento in ciò che creiamo produce quell’empatia con le persone che le porta a scegliere il tuo progetto piuttosto che altri».

Shori, contenitore per il riso di Alessandro Stabile

Alessandro Stabile ritiene che «la tematica ambientale, considerato il grande danno fatto dall’uomo negli ultimi settant’anni, non deve riguardare solo il mondo del progetto, ma tutte le scelte che le persone compiono quotidianamente. Un’altra problematica da approfondire è quella della tecnologia: il suo rapporto con l’uomo e in particolare come essa ha cambiato i comportamenti e le abitudini degli individui. Altri due temi che sento molto attuali e che cerco di tenere presenti nella progettazione sono la sicurezza e il benessere delle persone».

ATTENZIONE ALL’AMBIENTE, FLESSIBILITÀ, EMOZIONE E TECNOLOGIA SONO LE TEMATICHE CON CUI IL PROGETTISTA SI DEVE CONFRONTARE

Agustina Buttoni, infine, sottolinea la valorizzazione delle qualità intangibili dell’oggetto; «Quotidianamente siamo in contatto con entità artificiali, progettate e prodotte in un contesto di consumismo e di saturazione. Gli oggetti influenzano il nostro ambiente e il nostro stile di vita e per questo motivo è importante proporre un’esperienza che permetta una percezione emotiva degli oggetti. Così, tramite i miei progetti, aspiro a rivitalizzare la nostra interazione con il mondo circostante, suscitando curiosità e riflessione. Oggetti come Eden, che sono in movimento, sembrano avere una personalità, interagiscono con noi e lo spazio circostante. La serie Melodicware comprende invece una serie di sculture in ottone che suonano delle melodie, un aspetto sensoriale che viene molto trascurato dal design. Siamo immersi in un mondo digitale, e certamente è piacevole potere percepire gli oggetti che abitano i nostri spazi attraverso i nostri sensi meno utilizzati».

Si è già accennato a come oggi gli stili di vita tendano a mutare con rapidità. I cambiamenti riguardano senza dubbio anche il mondo della tavola. Avendo la tavola oggi perso parte del suo valore simbolico, è ancora stimolante per un designer progettare quegli strumenti e forme di cui le generazioni passate si sono servite per arredarla e impreziosirla? Piuttosto sorprendentemente, su questo tema tutti gli interlocutori concordano nel ritenere che la tavola continui a mantenere una centralità nella vita di ognuno.

«La tavola, con i suoi utensili – ritiene Luciano Galimberti -, resta uno scenario privilegiato della vita quotidiana che non smette di attirare l’attenzione anche delle giovani generazioni. Ancora oggi amiamo conservare i servizi di famiglia, un’attitudine che ci accompagnerà anche in futuro: un fatto affettivo che travalica la funzione, ma che rientra nella capacità del design italiano di saper cogliere i valori profondi delle relazioni».

Calici Milanesi
di Agustina Bottoni

Agustina Bottoni ritiene che ai vecchi rituali ne siano subentrati altri, altrettanto stimolanti: «È vero che la cultura del fast food ha acquisito importanza e che è stata accompagnata dall’utilizzo di oggetti monouso che hanno sprecato risorse e creato problemi ambientali, detto questo, esistono, però, anche nuove abitudini legate al cibo, penso ad esempio a quelle esperienze legate alla tavola, più fluide rispetto alla tradizione, con oggetti che stimolano le persone a utilizzare tutti i sensi. L’anno scorso ho progettato Calici Milanesi, un trio di bicchieri ‘scultorei’ di fattura artigianale, pensati come un omaggio al rito dell’aperitivo, e tramite questo progetto ho verificato l’importanza di possedere oggetti speciali per la tavola che possano elevare la nostra esperienza con il
cibo».

Anche Marco Dessì parla di nuovi rituali: «Non è certo da oggi che pranziamo accontentandoci di un panino. L’idea di pranzare quotidianamente tutti riuniti intorno a una tavola elegantemente apparecchiata appartiene decisamente al passato. E tuttavia ritengo che anche ritrovarsi per pranzo a mangiare ramen o un sandwich su una panchina tra amici sia un’esperienza rituale. Oggi non abbiamo più i soldi per acquistare raffinati e ricchi servizi, eppure imbandire una tavola in modo elegante per passare un’allegra serata tra amici continua a essere un’esperienza molto piacevole. La tavola ancora oggi è un universo stimolante per molte aziende e per i giovani designer che propongono nuovi oggetti e accessori adatti ai tempi che stiamo vivendo».

Set di piatti Paestum di Mario Scairato

Mario Scairato nega che il mondo della tavola abbia perso oggi l’importanza che aveva in passato: «Mai come in questi ultimi anni si è prestata tanta attenzione al cibo, quasi eccedendo in maniacalità. È vero, ci sono i fast food o i vari food delivery tutti basati su un veloce consumo di cibo. Poi, però, e per fortuna, ci sono le pause. Il ritrovarsi in famiglia, tra amici o a un tête-à-tête dove la tavola assume e riassume tutta la sua importanza. Dove il rito esistenziale emerge. Così come è emersa, inevitabilmente, l’appartenenza alle mie origini quando ho disegnato degli oggetti per la tavola, un set di piatti e un coltello per la mozzarella, mescolando forme, colori e sapori della mia terra: Paestum. Ho progettato questo servizio come il racconto di un Sud Italia vivo e ricco di cultura. Il successo che ha riscosso mi ha fatto capire che esiste un pubblico ricettivo e pronto a tutelare quei riti che appartengono anche alle nuove generazioni».

C’È SPAZIO PER LA RISCOPERTA DELL’UTOPIA NEL DESIGN CONTEMPORANEO?

Ossidiana di Mario Trimarchi per Alessi, Premio Compasso d’Oro 2016 ©Archivio storico fotografico Fondazione ADI
Collezione Compasso d’Oro

«Ogni volta che diamo per morto un rito – osserva Giulio Iacchetti – esso ritorna prepotentemente, soprattutto se affonda le sue radici nell’autenticità. Direi che questo è proprio il caso della cultura della tavola. Certo rispetto al passato molte cose sono cambiate. Anni fa, ad esempio, mangiare a casa voleva dire non potersi permettere un ristorante, oggi è vero il contrario: l’idea di concedersi del tempo per cucinare è quasi un lusso. E, tuttavia, ritengo che l’uomo non possa negarsi il piacere di cucinare del cibo per sé e per gli altri. Tra l’altro, anche nel settore del food delivery stanno avvenendo importanti cambiamenti: alcune imprese di questo settore, invece che portare a casa i cibi già pronti, si limitano a fornire gli ingredienti per preparare le pietanze. E poi, diciamolo, niente come la tavola esprime il piacere di quella convivialità, tipicamente italiana, conosciuta e apprezzata in tutto il mondo».

Alessandro Stabile vede nel nostro presente anche la riscoperta del piacere dato dalla lentezza. «In quest’ultimo periodo vedo riaffermarsi quella tendenza che molti analisti definiscono con il termine ‘Slow Living’. Quindi il caffè si torna a farlo con la moka, macinandolo personalmente, si va al mercato rionale per scegliere i prodotti a km 0, si ascolta un disco con il giradischi. Sono riti in cui la qualità del gesto si scontra con la rapidità e la superficialità della vita quotidiana».

 

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